Jacques Pous, La tentation totalitaire. Essai sur les totalitarismes de la transcendance. ISBN 978-2-296-09435-2. L’Harmattan, Parigi, 2009, p. 509, € 43,50

Richiamato al servizio militare (all’epoca della Guerra d’Algeria), un giovane monaco francese si ribella ai religiosi suoi superiori (che lo ammoniscono sul voto di obbedienza verso la nazione) e rompe con la chiesa cattolica di cui finora aveva fatto parte. Per spiegare questa sua radicale decisione giovanile, Jacques Pous propone molti anni dopo ai suoi lettori, opponendole, le due figure di Abramo ed Antigone: il primo disposto ad uccidere il proprio figlio pur di obbedire a Dio, la seconda che muore per non sottomettersi all’ingiustizia del re Creonte e dunque affermare l’autonomia della propria coscienza sopra qualunque autorità o divinità. Abramo agisce nel dominio della morale e delle leggi, Antigone in quello dell’etica; l’uno soggiace all’integralismo religioso, l’altra invoca un universo di libertà.
La tentazione totalitaria” è una opera a carattere storico, filosofico e religioso, che dà ampio risalto alle problematiche etiche e morali; un ampio, complesso e ben documentato studio; una riflessione forte su di una lunga esperienza di vita a contatto delle culture religiose più diverse. In essa Pous analizza il ruolo che (purtroppo) hanno sempre avuto le religioni nel condizionare la cultura del loro tempo, mirando al cuore del rapporto fra religione e politica nel caso  emblematico e di forte attualità delle tre ‘religioni del libro’ (cristianesimo, islamismo, ebraismo), validi esempi di quello che definisce senza mezzi termini (connotandolo negativamente) come ‘totalitarismo della trascendenza’.
Secondo Pous è innegabile che le sacre scritture dei monoteismi abbiano plasmato la cultura dei popoli che le hanno adottate (coinvolgendo in pari misura credenti e non) nel desiderio di dare un ‘senso’ al mondo, ma è altrettanto innegabile che le ‘verità’ proposte (ed imposte) dai monoteismi, convenientemente forzate in rigide formule, sono state utilizzate per costruire e mantenere un potere altrettanto esclusivo e paralizzante.
Infatti le religioni del libro, con le loro norme ‘legali’, prospettano di fatto un orizzonte di senso senza alternative; hanno introdotto ciascuna delle regole di ortodossia da rispettare in tutti i campi (dalla filosofia alle scienze); ed hanno imposto ciascuna un proprio codice morale (anzi “una religione della legalità che ignora la moralità”), plasmato in origine sulle esigenze di una classe dominante e di un determinato popolo, ma presto elevato a norma universale, senza alcuna idea di ciò che oggi definiamo ‘etica’, e che dovrebbe essere al di sopra di ogni morale (“la sola etica possibile è senza Dio”, sosteneva Nietzsche).
In tal modo, la coscienza e l’autonomia della volontà, irrinunciabili esigenze di una vera umanità, sono state prevaricate da una “morale degli schiavi”; all’universo della contingenza e della libertà si è sostituito un universo della necessità retto dal solo Dio e da quella ‘Provvidenza’ che determinerebbe il corso ineluttabile della storia.
Le religioni del libro rappresentano il ricco humus sul quale nascono e si consolidano gli altri grandi totalitarismi.  A differenza degli dei pagani e dei loro adoratori, il Dio ‘vero e unico’ delle religioni monoteiste è esclusivo ed esclusivista, nemico degli altri ‘falsi’ dei e dei loro seguaci, verso i quali si dichiara implacabile e dei quali impone lo sterminio. Credere in un diverso Dio, equivale di fatto (per il monoteista) ad un sacrilego non credere in nessun dio; e la cultura dell’esclusione diviene la più importante causa di conflitti fra i popoli.
L’invenzione del ‘Dio del libro’ è strettamente connessa, secondo Pous, all’irrompere nel mondo delle peggiori violenze, frutto di un ‘totalitarismo della trascendenza’ cui è stato pari solo il ‘totalitarismo delle immanenze’ rappresentato da fascismo, nazismo e stalinismo. Non a caso, le ideologie totalitarie sono comparse all’orizzonte umano proprio nell’ambito giudeo-cristiano, quale frutto di una matrice simbolica e di uno schema di pensiero che prevedono una sottomissione cieca all’autorità ed una eteronomia etica che apre la via a qualunque crimine contro l’uomo. Tale sottomissione non è invero priva di elementi positivi per il credente, in quanto l’abbandono alla divinità ed alle pratiche del sacro viene reclamato come gesto di estrema libertà; ma, secondo Pous, la ‘logica liberatrice’ delle religioni del libro non compensa i danni provocati dalla compresente ‘logica alienante’.
Fra le chiavi di lettura del mondo, la “ossessione dell’«Uno»” è comune alle religioni del libro e all’ideologia socialista, assieme alla concezione lineare del tempo e della storia, mentre invece manca (in solido con le tentazioni totalitarie e la logica di conquista) nelle religioni orientali. Proprio questa ossessione, che mette in moto dei “processi permanenti di legittimazione di una autorità unica”  avrebbe sia dominato i monoteismi abramitici, che generato l’antisemitismo nazista. Al contrario, nel caso delle religioni del libro, l’universalismo è solo apparente, perché in realtà pretende che l’«altro» si converta e rinunci alla propria identità. Ciò vale per i singoli quanto per gli Stati e per le loro leggi. A conferma della perennità di questo principio, Pous ricorda una affermazione di Joseph Ratzinger, non ancora papa: “La chiesa deve ritenersi luogo di una dimensione pubblica assoluta, per la pretesa di Dio che la rende legittima, essendo cosciente che questa autocomprensione non può giustamente trovare adeguata illustrazione nella sfera del diritto dello Stato […] Lo Stato deve riconoscere che un sistema di valori fondamentali basato sul cristianesimo costituisce la sua condizione preliminare”.
Quasi a mitigare le proprie accuse, Pous afferma che la ‘violenza sacra’ non è inscritta nei monoteismi come conseguenza ineludibile; ma ritiene che essi ne abbiano indubbiamente sedimentato nella nostra società gli elementi costitutivi, che dunque restano sempre latenti. Infatti, i monoteismi abramitici hanno dominato per così tanti secoli la storia e lo spazio mentale dell’occidente, da strutturare dei modi di pensare e di agire, e dunque una ‘visione del mondo’ e degli archetipi mentali, che sono divenuti comuni a tutti gli uomini, sia per riferirsi ad essi che per combatterli.
Dopo avere contestato quanto scritto dagli uomini in nome di Dio, Pous ci dice cosa in definitiva pensa (in positivo ma anche in negativo) dell’Uomo. I libri sacri (per lui ma anche per noi) non contengono una verità superiore (la ‘Verità’ di Dio), ma rispecchiano la grandezza e l’ingegno dell’uomo: Infatti in esse è confluito tutto ciò che l’uomo e solo l’uomo ha prodotto: nel bene e nel male, nella sua grandezza e nelle sue miserie (creando il Dio “che si è meritato e che si merita”). Avendo tale carattere, non possono essere considerati altro che una testimonianza del passato, da gestire con estrema prudenza; per nulla un riferimento per l’avvenire.
L’ultima parte del saggio si occupa della questione dell’esistenza di Dio: affermata da buona parte dell’umanità, ma negata dalla restante. Per Pous si tratta di una questione meno importante sul piano teorico che per le sue conseguenze pratiche. Il punto fondamentale è infatti l’uso che si è fatto e che si continua a fare oggi di questa idea di Dio, ed in particolare del Dio dei monoteismi, che a suo giudizio ha reso più danni che vantaggi. L’imperativo dell’uomo del nostro secolo è quello di impedirgli di nuocere ancora, combattendo in particolare ogni integralismo.
Uno dei pregi di questo volume è la grande obiettività, unita ad un assoluto rispetto dei credenti, riguardo le loro più intime credenze. La fede individuale, che spesso origina dalla sofferenza personale e dall’aspirazione all’assoluto, non viene dunque di per sé svilita né derisa, fin tanto che resta un fatto privato. Purtroppo invece, e lì sta il cuore del problema, entro i monoteismi è pressoché impossibile sfuggire a quella che per l'appunto viene definita ‘tentazione totalitaria’, allorché queste esigenze personali generano una visione complessiva esclusivista del mondo, come formulato non a caso proprio nel primo comandamento del decalogo di Mosè.
A Pous è stato contestato di non avere fornito una incontrovertibile prova storica della sua tesi fondamentale, ovvero che il dio personale dei monoteismi (a differenza ad esempio del politeismo greco) sarebbe stato la causa principale ed il motore delle più gravi intolleranze e dei più crudeli eccidi di massa perpetrati dall’uomo. Lo si è rimproverato di ‘riduzionismo storico’, per avere spiegato tutto il male della storia con l’invenzione, in nome di una verità trascendente, di un dio antropomorfo dotato dei peggiori caratteri umani (fra cui in primo piano la violenza che esisterebbe in potenza in ogni uomo, secondo la formula di Thomas Hobbes “homo homini lupus”), la cui adorazione avrebbe condotto l’umanità ad una sorta di follia assassina. Ciò presupporrebbe che la violenza e l’idea di Dio siano compresenti nella mente dell’uomo, e non spiegherebbe la capacità umana di compiere le più grandi imprese ed i più elevati atti di umanità proprio nel nome dello stesso Dio. Ed ancora, l’anziano ex-monaco cattolico divenuto agnostico, peccherebbe di pessimismo teologico, non riuscendo ad apprezzare la ricchezza culturale del pensiero religioso e non comprendendo quanto esso sia piuttosto vittima di una serie di ragioni personali, economiche, politiche, sociali e di quanti lo hanno strumentalizzato per mobilitare le folle e giustificare i più diversi fini.  A mio avviso si tratta di obiezioni confutabili; l’apogeo del pensiero religioso è infatti frutto e non fonte del meglio della cultura occidentale. E se è vero, come sostiene Pous, che “l’umanizzazione dell’Uomo si è fatta qualche volta con Dio, ma più spesso contro Dio”, è davvero tempo che l’Uomo (ma soprattutto il credente) riumanizzi il proprio Dio, adattando la sua rappresentazione alle più elevate istanze culturali ed etiche.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 72 (6/2010)