Alcuni commenti della stampa sul caso Ratzinger-Sapienza

Il caso Ratzinger-Sapienza è rimasto bene in evidenza sulla stampa per quasi due mesi, con centinaia se non migliaia di interventi. Eccone alcuni brevi passaggi, riguardanti in particolare il primo periodo.
Fra gli anti-Ratzinger occorre citare innanzitutto Marcello Cini (primo firmatario della famosa lettera al Rettore), secondo il quale non ha senso che sia un papa a pronunciare il discorso che introduce l’anno accademico di una Università laica; infatti, “anche se nei primi secoli dopo la fondazione delle università la teologia è stata insegnata accanto alle discipline umanistiche, filosofiche, matematiche e naturali, non è da ieri che di questa disciplina non c'è più traccia nelle università moderne, per lo meno in quelle pubbliche degli stati non confessionali […] I temi che sono stati oggetto degli studi del professor Ratzinger non dovrebbero comunque rientrare nell'ambito degli argomenti di una lezione, e tanto meno di una lectio magistralis tenuta in una università della Repubblica italiana”.
Carlo Bernardini, uno dei contestatori, non ha remore nel dire quello che pensa della ‘Verità’ papale: “Si dice: ciascuno ha il diritto di esprimere la propria opinione. Vero, ma abbiamo anche il diritto di dire che alcune opinioni sono sciocchezze. Se si parte da quel presupposto, infatti, dobbiamo affermare che il diritto di parlare all'università ce l'ha anche l'astrologo o lo sciamano. Se però io nego questo diritto all'astrologo tutti lo trovano ovvio. Il papa sarebbe venuto a parlare in un luogo dove tanti hanno lavorato per anni con tutt'altro spirito da quello che lui incarna”.
Di fronte al diplomatico cambio di programma (‘intervento’ anziché ‘lectio magistralis’), un altro fisico ribelle, Andrea Frova, sostiene che "L'invito è una scelta inopportuna e vergognosa e non è sufficiente che il Papa non tenga più la lectio magistralis, come avevano deciso all'inizio. È solo un maquillage fatto anche piuttosto male. Si tratta di un capo di stato straniero ed inoltre il capo della Chiesa cattolica. […] E noi che abbiamo dedicato tutta la vita alla scienza non ci sentiamo di ascoltare, a casa nostra, una voce autorevole che condanna di nuovo Galileo". Carlo Cosmelli, altro docente di Fisica, aggiunge: "Le accuse anti-scienza che il Papa ha lanciato da cardinale le ha ribadite anche nella sua ultima enciclica. Lui è convinto che, quando la verità scientifica entra in contrasto con la verità rivelata, la prima deve fermarsi. Una cosa del genere in una comunità scientifica non può essere accettata". 
Con loro non è d’accordo il genetista Bruno Dallapiccola, anche lui della Sapienza: “Devo dire che questa è un’uscita vergognosa e che sicuramente non fa onore ad un’università grande, importante come ‘La Sapienza’ […] Penso che l’unica motivazione è di pensare che qualcuno abbia paura di sentire quello che il Papa vuole dire. Io penso che hanno paura che il Papa trasmetta un messaggio importante e forte”.

Fra i politici, fortemente coinvolti, il centro destra si muove compatto solidale col papa. Maurizio Gasparri, di Alleanza Nazionale, è molto drastico: “Dopo lo sconcio della Sapienza di Roma ci attendiamo che vengano assunte iniziative per allontanare dall'ateneo i professori ancora in servizio che hanno firmato quel vergognoso manifesto. Questa dimostrazione di intolleranza non può restare priva di conseguenze".
Consueto l’omaggio di Marcello Pera: "L’insulto a Ratzinger è la rivincita della sinistra […] Un oltraggio al pontefice, un grosso incidente diplomatico cui l’Italia non era mai incorsa in precedenza e una resa dello Stato alla violenza dei laicisti che non immaginavo e un colpo mortale all’immagine dell’università italiana” (Il Giornale, 17/1).
La sinistra è invece divisa. Per Boselli “è giusto fischiarlo”; la scelta del Senato accademico è legittima, come del resto la libertà di polemica. Per il segretario romano del PRC, Massimiliano Smeriglio: “L´università è il regno della scienza e della laicità. Invitare Ratzinger, autore di un´offensiva politico-culturale oscurantista, è stato un errore”. Per Mastella, invece, “la stupidità non ha limiti. Anche quelli che hanno una posizione diversa devono avere rispetto delle idee altrui”. Secondo la senatrice teodem Paola Binetti: “È stata la Chiesa, diversi secoli fa, a fondare La Sapienza. Ci sono ragioni di tradizioni e di cultura che giustificano il suo intervento. Anche chi non condivide il pensiero del Papa potrà cogliere questa occasione di ascolto di un pensiero alto”.
Livia Turco sembra ignorare che all’origine della contestazione ci sia stato proprio l’invito a tenere una ‘lectio magistralis’: “Mi è sembrato normale sostenere la visita di Ratzinger alla Sapienza. Io alla scelta attribuisco un significato completamente opposto a quello dei critici. E il Papa offre una prova di pluralismo, di laicità e umiltà. Non si sostituisce al potere temporale. Non è mica lui che celebra l'apertura”. Veltroni addirittura lamenta: “quello che è successo, per un democratico, è inaccettabile […] non bisogna chiudersi nelle ideologie […] Mai può accadere, per nessun motivo, che l'intolleranza tolga la parola a qualcuno. Men che meno se si tratta di un discorso sui diritti universali e se si tratta di Papa Benedetto XVI, un punto di riferimento morale, spirituale e culturale per milioni di persone”. Perfino Franco Giordano, segretario di Rifondazione Comunista, difende il papa: “Quello che si è rimproverato al Papa sono solo e soltanto le sue idee ed è in nome di quelle che si è manifestato e non per esprimere dissenso, ma per impedirgli di parlare”.

Per Stefano Rodotà le prese di posizione contro il papa sono inevitabili, giacchè “Questo Papa si comporta come un leader politico ed è anche percepito come tale. Nessuna meraviglia quindi che ci siano reazioni contrarie: è la democrazia. E vittimismo e appelli integralisti sono fuori luogo”; la chiamata, prontamente corrisposta, dei leader politici per l’Angelus riparatore non fa che confermare una tendenza “regressiva clericale [...] Tutti hanno invocato Voltaire. Ma solo per Ratzinger, non per Marcello Cini e i dissidenti! Se il Papa ha il diritto di esprimere la sua opinione, a maggior ragione lo hanno Cini e Bernardini, che parlavano in casa propria, dove non c'è un'autorità gerarchica. E dove anche una sola opinione ha valore”.
Rodotà ricorda che secondo la carta dei valori del Partito Democratico “anche il punto di vista religioso deve potersi esprimere nella sfera pubblica. Ciò detto, la religione entra nella sfera pubblica accettandone le regole democratiche. E non dettando le regole. Nessun privilegio, nessuna primazia […] Che si possano pretendere trattamenti privilegiati, che la religione sia una pretesa civile, è contrario ai princìpi fondamentali della democrazia, a cominciare dal principio di eguaglianza” (L’Unità, 20/1).
Eugenio Scalari, descrivendo l’Italia come il ‘Giardino del papa’, biasima senza mezzi termini la “ferma credenza di chi depositario della verità considera come inferiori intellettualmente e spiritualmente quanti dissentono dal suo zelo religioso o ne accettano alcuni principi ispiratori respingendone la precettistica che l'accompagna”. Anche per lui, l’intolleranza verso il papa è frutto di una “laicità malata”, ma non è nata dal nulla, giacchè la colpa di quanto è successo è innanzitutto “l'invito incauto del Rettore nel giorno, nell'ora e nel luogo dell'inaugurazione dell'anno accademico [che] non dovrebbe essere un evento mondano e mediatico bensì l'indicazione delle linee-guida culturali e dei problemi concreti della docenza e degli studenti”. A monte di ciò, la chiesa di oggi è secondo lui colpevole per la sua scelta dogmatica ed autoritaria che riporta indietro l’orologio delle aperture alla modernità: “Mi ha fatto molto senso vedere, proprio alla vigilia del mancato intervento del Papa alla Sapienza, la messa celebrata da Benedetto XVI nella Sistina col vecchio rito liturgico rinverdito a testimoniare la curva ad U rispetto al Concilio Vaticano II: il Papa con la schiena rivolta ai fedeli e la messa celebrata in latino. Qual è il senso di questa scelta regressiva se non quello di ribadire che il mistero della trasformazione del vino e del pane in sangue e carne di Gesù Cristo viene amministrato dal celebrante senza che i fedeli possano seguire con gli occhi e in una lingua sconosciuta ai più? Il senso è chiarissimo: l'intermediazione dei sacerdoti non può essere sorpassata da un rapporto diretto tra i fedeli e Dio. Il laicato cattolico è agli ordini della gerarchia e non viceversa. Lo spazio pubblico è fruito dalla gerarchia e - paradosso dei paradossi - dagli atei devoti che hanno come fine dichiarato quello di utilizzare politicamente la Chiesa”. Ma il peggio di questa storia è per Scalfari il comportamento filoclericale dei troppi atei-devoti: “Giornali di antica tradizione laica sembrano aver perso la bussola e si schierano apertamente accanto agli atei devoti. Di atei devoti la storia d'Italia è purtroppo gremita. L'ultimo nella fase dell'Italia monarchica fu Benito Mussolini. In tempi di storia repubblicana gli atei devoti fanno ressa e la faranno anche oggi alle transenne di piazza San Pietro” (Repubblica, 20/1). 

Fra gli uomini di Chiesa, Ruini celebra “La ragione e il coraggio della verità” (Avvenire 23/1) e lamenta: “C'è un clima intollerante in una parte piccola, ma molto chiassosa. Inoltre, in aree culturali e politiche più vaste ci sono equivoci sulla laicità e anche sullo stesso concetto di libertà. C'è il male, o se vuole il pregiudizio ormai antico, di riconoscere il diritto di parlare solo a coloro che condividono determinate posizioni. Agli altri no, parlare non è consentito. È un pregiudizio ristretto, ma tenace”. Il peggio, come in altre occasioni, viene da Radio Maria: ''Studenti e professori cornuti e con la coda si annidano alla Sapienza' […] se ci sputano acqua santa addosso, fumiamo"; e Padre Livio, pronuncia il suo anatema: “Nel deserto sant’Antonio strappò la coda a lu dimonio, o sant’Antonio alla Sapienza, rompi le corna alla miscredenza”. Non a sproposito, Walter Vecellio, di Notizie Radicali (21/1) parla senza mezzi termini di “marea nera clericale”.
Dei giornalisti filoclericali, concordi con le posizioni vaticane, basta quasi citare i titoli degli articoli: “I prof censurano il Papa senza mai averlo letto” (Andrea Tornielli, Il Giornale 14/1); “Martedì prossimo un’assemblea allargata ai cinquanta professori “anti ratzingeriani” studierà con precisione la logistica delle contestazioni […] in un sol colpo vengono a farsi spernacchiare il ministro Mussi, il sindaco Veltroni e persino il Papa” (Il Foglio, 12/1); “Attenzione, preparano l'agguato al Papa. L'ignoranza domina tra i presunti scienziati dell'Università La Sapienza di Roma (Renato Farina, Libero, 13/1); ”Oscurantismo laicista” (Stefano Zecchi, Il Giornale, 14/1); “Una scon?tta nel nome di Galileo” (Europa, 15/1).

Fra gli intellettuali ‘laici’, Franco Cordero contesta alla Chiesa “il blocco dogmatico, preteso possesso d´una verità assoluta, incompatibile con le procedure della ragione laica. […] Scienza e tecniche avulse da premesse etiche incubano sventure, verissimo, ma l´etica è invenzione umana, su cui le religioni hanno poco da dire, quando non la negano. […] l´autorità conia formule equivoche, dove una cosa non esclude l´opposta, e diventa merito la sordità logica; i devoti inghiottono tranquilli qualunque contraddizione” (Repubblica, 19/1).
Flores d’Arcais, direttore di MicroMega, non vede alcuna intolleranza nel fatto che un gruppo consistente di docenti abbia semplicemente dissentito dalla concessione fatta al papa di “pronunciare, sia detto en passant e per amore di verità, il suo monologo, visto che nessun altro ospite contraddittore o "discussant" era previsto, e un monologo resta a tutt'oggi nella lingua italiana l'opposto di un dialogo […] intolleranza – vera e anzi inaudita – sarebbe stato vietare ad un gruppo di docenti di discutere in termini sgraditi ai dogmi di Santa Romana Chiesa, e ad un gruppo di studenti di manifestare pacificamente le loro opinioni, ancorché in forme satiricamente irridenti”.

Per concludere, mi sembra meritevole d’attenzione l’opinione di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia, che ben puntualizza la vera questione di fondo: “Ritenere non opportuno un invito a tenere un discorso è cosa diversa dall'impedire a qualcuno di esprimere le proprie opinioni. Il Papa non è un semplice accademico che sostiene tesi controverse o formula ipotesi non condivise da pochi o da molti. Il Papa parla di valori non negoziabili, non formula ipotesi; pretende di esplicitare la verità; si pronuncia non come esponente di una delle varie religioni e confessioni presenti sulla agorà, ma come esperto di umanità in grado di indicare i fondamenti dello Stato e i criteri di una corretta laicità. Il Papa pretende di sapere per tutti noi come si debbano rettamente coniugare fede e ragione. Se vogliamo, il Papa è anche l'ultimo sovrano assoluto per diritto divino. Benedetto XVI bolla la ricerca del pensiero scientifico e filosofico della modernità ‘post-cristiana’ come dittatura del relativismo. Cioè pronuncia una drastica censura nei confronti di quello che è lo spirito della ricerca libera e senza presupposti che spero presieda all'insegnamento nelle nostre università. Benedetto XVI persegue, con grande intelligenza, una strategia di rimonta nei confronti della società laica e pluralista”. Anche lui dunque qualifica l’intervento del papa come una ‘pastorale, piuttosto che una ‘lectio filosofica’: “Si doveva sapere che il Papa non viene a discutere o a confrontarsi, ma viene per essere ascoltato con reverenza ed eventualmente accolto con una genuflessione. Si doveva sapere che era legittimo dissentire dall'invito, non perché si è oscurantisti ma perché non si può né si vuole riconoscere la pretesa che egli statutariamente e quindi inevitabilmente porta con sé. Per queste ragioni io non l'avrei invitato a presiedere l'apertura dell'anno accademico. Lo inviterei però, domani stesso, a partecipare come uno dei relatori ad un dies academicus: si darebbe un bellissimo esempio di cosa può essere una università libera e laica e veramente plurale. Perché - sebbene gli italiani, in primis gli atei devoti, di destra come di sinistra, non lo sappiano - qualunque ‘capo religioso’, persino il Papa, nella democrazia discorsiva è ‘uno dei relatori’”.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 57 (3/2008)