La Chiesa contro Darwin. Parola di papa

La recente 'apertura' della Chiesa all'evoluzionismo non si può conciliare con la Teologia consolidata, con i documenti del Magistero e soprattutto con i 'responsa' antimodernisti della Commissione Biblica (dei primi due decenni del Novecento), che di fatto costituiscono tuttora gli ultimi pronunciamenti ufficiali in proposito, sostanzialmente con il crisma della 'infallibilità'. Infatti il tradizionale antievoluzionismo non solo è in pieno accordo con il senso letterale della Bibbia, ma è stato presentato sempre come il frutto di dimostrazioni teologiche 'razionali'; ed ha sempre fatto parte dell'insegnamento 'immutabile' della Chiesa.
Nonostante i tanti distinguo, nell'ultimo scorcio del Novecento, fra 'senso teologico' e 'interpretazione letterale', non vi può essere alcun dubbio su come il racconto di Genesi sia stato utilizzato fino a quasi un secolo fa come qualcosa di più che una ipotesi scientifica; e proprio questo ha determinato da un certo punto in poi l'insorgere di conflitti non solo con le varie branche delle scienze, ma con il metodo scientifico in genere (vedasi l'attuale ambito della bioetica). Il credente assume infatti sempre come punto di partenza la sua verità 'forte', che ritiene possa essere solo confermata; e quand'anche smorza i toni polemici, afferma comunque che il senso della rivelazione rimane immutato in quanto prescinde dall'immagine della storia dell'uomo fornita dalla scienza: poiché la teologia non dipende dalla scienza.

Il 22 ottobre 1996 Giovanni Paolo II, in un Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze (riunita in Assemblea plenaria per discutere sull'origine della vita e l'evoluzione), afferma, in linea con l'Enciclica "Providentissimus Deus" di Leone XIII (1893) e soprattutto con Tommaso d'Aquino, che non può sussistere nessun vero conflitto fra scienza e fede in quanto "la verità non può contraddire la verità". Ovviamente, la verità per eccellenza sarebbe quella proposta dalla teologia cattolica, ed i problemi li susciterebbe semmai la scienza, quando si contrappone o sembra contrapporsi ad essa.
Per Giovanni Paolo II si possono delimitare tre diverse aree del 'sapere': la riflessione filosofica, la riflessione teologica e la scienza (tradizionalmente 'ancilla philosophiae'); il primato della fede sulle scienze (reclamato anche nella sua Enciclica "Fides et ratio" del 1998), poggia saldamente sulla tradizione; ogni teoria scientifica "dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica", mentre invece l'autorità biblica non ha bisogno di essere controllata.
Giovanni Paolo II richiama le precedenti piuttosto limitate concessioni di Pio XII all'evoluzionismo, ma ribadisce che la Chiesa non può arretrare dalle sue posizioni, e che ogni dottrina può essere discussa solo se non intacca il deposito tradizionale della fede e della Rivelazione. Restano dunque non questionabili la centralità dell'uomo nel creato ("la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso") ed il suo valore di "persona" (un valore pienamente ignorato nel passato, come prova la secolare posizione della Chiesa riguardo alla pena di morte).
Giovanni Paolo II riafferma anche la dualità (corpo ed anima) dell'essere umano, e ribadisce la presenza di una "differenza di ordine ontologico (un 'salto ontologico') fra l'uomo e gli altri viventi".
In pratica egli non condanna più in modo assoluto l'evoluzionismo, ma lo considera comunque una teoria non provata e non affrontabile secondo una lettura materialista, ovvero prescindendo dalla Rivelazione. Ma, così facendo, stravolge la dottrina tradizionale e contraddice il senso letterale della Bibbia e secoli di predicazione assolutamente antievoluzionista. Basta infatti consultare qualche testo catechistico degli anni cinquanta del Novecento, per rendersi conto di come, a discapito della "Humani Generis", l'insegnamento è ancora radicalmente antievoluzionista: ad esempio, "l'evoluzione dei viventi appare contraria al senso letterale ed ovvio della Scrittura, che indica le piante e gli animali come creati 'secondo la loro specie' e narra la creazione 'speciale' dell'uomo sia quanto al corpo, sia quanto all'anima, dicendo espressamente che Dio ha immediatamente formato il corpo dell'uomo e creata l'anima".
La presunta 'apertura' di Giovanni Paolo II è dunque più che altro una cauta ritirata, di fronte ad un problema che per i non cattolici è oramai quasi privo di senso: giacché esistono fin troppe e convergenti prove dell'evoluzione, non smentite da fatti contrari. E molte di queste prove esistevano perfino decenni prima, in tempi in cui il papato stigmatizzava gli evoluzionisti e quanti all'interno della Chiesa ricercavano un qualche 'concordismo'. Il vero 'salto' non è quello dalla scimmia all'uomo, ma piuttosto dall'antievoluzionismo assoluto all'evoluzionismo concordista.

La posizione 'ufficiale' della Chiesa rispetto all'evoluzionismo è stata 'infallibilmente' definita in pochi documenti, scritti più per frenare la critica dei teologi modernisti, che non per intervenire nel dibattito scientifico: il Decreto "Lamentabili sane exitu" (1907), l'Enciclica "Pascendi dominici gregis" (1907), il Motu proprio "Praestantia Scripturae Sacrae" (1907), l'Enciclica '"Humani generis" (1952). Nei primi tre l'evoluzione in senso darwiniano ed il trasformisno in genere sono implicitamente rigettati sulla base di un principio d'autorità fondato sul significato letterale di Genesi; nel quarto, pur ammettendosi esplicitamente l'esistenza di un serio problema scientifico che tocca la fede, non per questo si vuole rinunciare alla tesi tradizionale. A monte di essi si colloca l'Enciclica "Providentissimus Deus" (1893) che sancisce, sullo sfondo della da poco dichiarata infallibilità papale (Enciclica "Pastor aeternus, del 1870) l'inerranza biblica, anche oltre le cose di fede e di costume.
Il decreto 'Lamentabili sane exitu' condanna severamente il 'metodo' modernista (che in verità somigliava abbastanza a quello oggi consueto nel mondo scientifico: falsificazione sistematica delle teorie; necessario consenso della comunità scientifica) e anatemizza la tesi secondo la quale il progresso nelle scienze deve indurre a modificare i dogmi. La risposta del clero è tiepida, e Pio X deve tornare due volte in poco tempo sull'argomento, per richiamare all'obbedienza.
Secondo il decreto della Commissione Biblica "De charactere historico trium priorum capitum Geneseos" (1909), si devono intendere in senso letterale-storico (e non si possono avere dubbi in proposito), i seguenti punti di Genesi: 1) la creazione di tutte le cose, fatta da Dio all'inizio del tempo; 2) la creazione speciale dell'uomo; per cui l'anima umana 'razionale' viene direttamente da Dio, ed il corpo del primo uomo è stato tratto direttamente dalla materia inanimata (Gen. 2, 7), così come concordano tutte le tradizioni semitiche; 3) il corpo della prima donna è stato tratto, per un atto della volontà di Dio e per una profonda ragione simbolica (I Cor. 2, 8), da una costa di Adamo, e viene fermamente escluso il trasformismo; 4) l'unità del genere umano; 5) la felicità originale dei primi uomini, creati in stato di grazia, d'integrità e d'immortalità; 6) l'ordine dato da Dio all'uomo per provare la sua ubbidienza; 7) la trasgressione dell'ordine di Dio, su istigazione del demonio, nascosto sotto le apparenze del serpente; 8) il decadimento dei nostri progenitori dallo stato di innocenza; 9) la promessa del Redentore futuro.
Dopo di ciò, il papato tace per qualche decennio, mentre il darwinismo avanza inarrestabilmente.

Con l'Enciclica "Divino Afflante Spiritu" di Pio XII (30 settembre 1943), si concede finalmente una certa libertà critica agli esegeti, ma di fatto non si ritratta sulle affermazioni precedenti della Commissione Biblica, che si preferisce comodamente ignorare. La questione viene in parte superata con una importante lettera della Commissione Biblica al cardinale Emmanuel Suhard (1948), con cui si concede finalmente una più ampia libertà critica ai biblisti; di fatto una ritirata strategica.
Così, le aborrite tesi moderniste di Julius Wellhausen (1876) sulle diverse fonti del Pentateuco, che tanto polverone avevano suscitato meno di un secolo prima, entrano nel patrimonio interpretativo ufficiale della Chiesa. Passo dopo passo, il castello della 'verità' letterale di Genesi si sfalda. Ed ai giorni nostri nessun predicatore può contestare una serie di fatti: 1) l'interpretazione letterale di Genesi è totalmente abbandonata; 2) il testo di Genesi espone un racconto mitico della creazione, nel quale a materiali narrativi antichi se ne aggiungono altri più recenti riguardanti la storia della salvezza proposta al popolo ebraico durante il periodo dell'esilio; 3) all'interno di Genesi sono presenti due diversi racconti della creazione: quello di fonte jahvista databile verso il X-IX sec. a.C., e quello di fonte sacerdotale databile verso il VI-V sec. a.C; 4) il racconto biblico è patrimonio comune ad altre culture (in particolare la babilonese e l'assira), e deriva da fonti e tradizioni più antiche; 5) Genesi non ci informa sulla causa prima e sullo sviluppo del mondo, ma solo su cosa stia a fondamento del mondo; 6) il concetto di 'creatio ex nihilo' non compare nelle fonti più antiche, ma è un'astrazione successiva; 7) alleanza con Yahvé e creazione sono intimamente connesse: Dio agisce per amore stringendo un patto d'alleanza con il suo popolo; 8) la fede nella creazione ha una valenza religiosa e non scientifica; 9) il dogma della creazione si è sviluppato progressivamente, in un secondo tempo.
Siamo oramai lontani dalle granitiche certezze di Gregorio XVI, che nella Enciclica "Singulari Nos" (1834) si scagliava contro i "deliri" dell'umana ragione che corre dietro alle novità!
Nel 1952 Pio XII interviene esplicitamente nel dibattito sull'evoluzionismo, con l'Enciclica 'Humani generis', unico documento magisteriale (in tutto il secolo) ad affrontare esplicitamente il problema. Pur con qualche concessione, egli sostiene che in ogni caso deve essere assolutamente rigettata quanto meno ogni ipotesi di poligenismo (in quanto intaccherebbe il dogma del peccato originale); quindi ribadisce che tutte le asserzioni delle scienze debbono essere contestate se si dimostrano contrarie alla dottrina rivelata.
Il documento della Pontificia Commissione Biblica "L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa" (1993) si pone a metà strada fra le chiusure letteraliste tradizionali e l'apertura a quelle che erano in fondo le istanze moderniste; ma impone comunque agli esegeti una precomprensione che rispecchi l'interpretazione corrente della Chiesa.
L'ultimo importante documento è quello pubblicato nel 2004, con l'approvazione del Cardinale Ratzinger, dalla Commissione teologica internazionale, ed intitolato "Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio". Lo stesso Ratzinger, dà inizio al suo pontificato con una omelia (24 aprile 2005), in cui sostiene fermamente che: "non siamo il prodotto casuale e senza senso dell'evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario".

In effetti, dopo la "Humani generis" la Chiesa non affronta più, se non con personali esternazioni dei papi, la questione dell'evoluzionismo. Negli atti del Concilio Vaticano I non viene neanche affrontata la problematica suscitata dalla nuova concezione scientifica circa il posto dell'uomo nella natura. 
Giovanni Paolo II tocca più volte il tema, ma non si sbilancia in sentenze inappellabili e dunque lascia di fatto vigenti i pronunciamenti di inizio secolo. Nel già ricordato "Messaggio" del 1996 sostiene che: 1) l'esegeta e il teologo devono tenersi informati circa i risultati ai quali conducono le scienze della natura; 2) la teoria dell'evoluzione dell'uomo non può considerarsi una mera ipotesi; 3) l'anima umana, fondamento della dignità della persona, è irriducibile alla materia; 4) la vita umana, dono di Dio, rappresenta una discontinuità ontologica rispetto allo sviluppo delle altre realtà fisiche e biologiche. Ripropone così un concetto classico del pensiero cattolico: l'assoluta separazione fra uomo e natura. Il salto ontologico sarebbe dunque la creazione stessa dell'anima razionale. Alle scienze moderne risulta invece che c'è sempre una continuità: fra uomo pensante ed animale, fra il genere animale e quello vegetale, fra il vivente e il non vivente, fra la materia organica ed il mondo inorganico, e così via.

Una volta costretto a scendere a patti con l'evoluzionismo, Giovanni Paolo II non può che riprendere la strategia dei suoi predecessori all'epoca della battaglia contro la concezione modernista dei generi letterari della Bibbia: delimitare ciò che ritiene ancora difendibile, rispetto ad una scienza che viene comunque sempre denigrata in quanto 'scientista' e 'materialista'. Tutti questi interventi avvengono però sul solo piano pastorale personale; non impegnano troppo i credenti e non scavalcano in nessun modo (anche se la percezione dei cattolici è diversa) i punti fermi della tradizione e le affermazioni (antimoderniste o antievoluzioniste) dei papi che l'hanno preceduto.
Secondo il commento del cardinale Paul Poupard, Giovanni Paolo II non ha per nulla inteso riconoscere la validità del darwinismo, quanto piuttosto del solo concetto di evoluzione, il che non rappresenterebbe un "cambiamento della tradizionale dottrina cattolica", ma solo un "prendere in considerazione gli sviluppi scientifici degli ultimi decenni". Poupard difende in pratica l'evoluzionismo concordista (meglio definibile come 'teismo evoluzionista') dal fondamentalismo creazionista: "I fondamentalisti vogliono prendere alla lettera le parole della Bibbia [che non hanno] finalità scientifica". Giovanni Paolo II sarebbe assolutamente sereno, in quanto "dal punto di vista cattolico, non c'è contraddizione tra creazione ed evoluzione. L'eventuale processo evoluzionistico della vita non toglie nulla alla realtà della creazione divina". 
Il punto chiave è ovviamente il passaggio dalla vita 'animale' a quella specificamente 'umana': una volta che l'evoluzione ha toccato un massimo, Dio interverrebbe sulla materia vivente creando l'uomo, che ha molto in comune con la scimmia ma non una vera discendenza biologica: e ciò ben si adatterebbe al senso letterale di Genesi.
Questo fumoso approccio (non traducibile in una concreta sequenza di eventi) più che un sereno tentativo di spiegazione sembra una conclusione forzata per salvare a tutti i costi il concetto di 'unità anima-corpo presente fin dal concepimento', fondamentale per la attuale catechesi Nel corso della sua storia il cristianesimo ha però concepito l'anima per lo più secondo il modello platonico. Ed accettare questa sorta di evoluzionismo, purgato dal 'materialismo darwiniano', rivitalizzerebbe le ipotesi di una certa separazione (o sostanziale dualismo) anima-corpo, senza la quale è difficile concepire un 'salto ontologico'. Poupard evita l'ostacolo, sostenendo che la biologia è incompetente in questo ambito, riservato alla filosofia ed alla teologia: giacchè "unità e separabilità dell'anima e del corpo sono due aspetti paradossali del problema che vengono conciliati in una sana antropologia". 
Nel 2005 il cardinale Christoph Schonborn precisa ulteriormente che, mentre si può accettare l'evoluzionismo nel senso di una comune discendenza, non si può fare altrettanto con i concetti di 'variazione casuale' e di 'selezione' postulati dal darwinismo.
Di fronte all'antagonismo fra creazionismo intransigente e darwinismo (o neo-darwinismo) egli sceglie dunque la via di una spiegazione evoluzionista che però riaffermi l'intenzionalità divina: il mondo è stato "creato dalla sapienza di Dio"; ed affermare che l'evoluzione della vita sia "senza guida" è "contrario alla ragione"; la prospettiva evoluzionista si può anche accettare, ma non si può accettare come scientificamente provata la rimozione della presenza di Dio in questo progetto. Schonborn segue fra l'altro la strada di quanti vedono una qualche contrapposizione fra darwinismo e neo-darwinismo, mentre secondo gli scienziati il secondo è solo un perfezionamento del primo.

In contrapposizione con l'assoluto afinalismo dell'evoluzionismo darwiniano, il mondo descritto nell'ultimo Catechismo della Chiesa cattolica è ancora fortemente antropocentrico, anche se lo si presente come in una sorta di processo di perfezionamento. Non è per nulla una teologia tradizionale: quasi un secolo di radicale antidarwinismo (soprattutto in nome della sovrapposizione fra fissismo e creazionismo) viene tranquillamente glissato; e torna pienamente in campo il concetto di un Dio provvidenziale e manutentore. Si adombra perfino l'ipotesi (a suo tempo eretica) di una creazione continua o comunque non ancora terminata; e si riattualizzano le istanze manichee, giacché le imperfezioni del mondo non includono il male morale: che non dipende da Dio, e sarebbe entrato nel mondo con il peccato originale.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 50 (2/2007)