A proposito di matrimonio cristiano

Secondo il diritto canonico, le caratteristiche essenziali del matrimonio sono l’unità (ovvero l’unione di un solo uomo con un sola donna) e l’indissolubilità; la procreazione e l’educazione dei figli, per quanto definiti ‘fini primari’ non sono essenziali, tanto è vero che la chiesa accetta anche il matrimonio fra anziani e il matrimonio ‘in extremis’. Ma già in epoca romana Modestino (III^ secolo a.c.), aveva sentenziato, ben prima delle regolamentazioni cristiane, “Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae, consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio”.
Per il diritto civile, il matrimonio eccede la dimensione del fatto privato; ma per i cristiani esso è qualcosa di più; viene elevato a sacramento, che si ritiene istituito da Gesù, o da Dio stesso fin dalle origini dell’umanità. La lettura critica di Genesi non supporta comunque tale convinzione. Infatti la funzione di Eva è pressoché solo procreativa, come infatti concordemente credevano molti padri della Chiesa.
Nel diritto romano, in epoca classica, la coabitazione e la ‘affectio maritalis’ (dunque il consenso protratto nel tempo) erano i soli fondamenti del matrimonio, senza alcuna necessità di un particolare ulteriore atto giuridico; sicché il matrimonio poteva sciogliersi quando cessavano queste condizioni. Lo status di ‘pater familias’ dava all’uomo una potestà quasi assoluta sul coniuge oltre che sui figli. Nei secoli successivi la posizione della donna restò assolutamente subordinata, perfino in maniera più restrittiva: così fino al decimo secolo d.c. all’incirca, il matrimonio mantenne sostanzialmente la struttura di un contratto di compravendita, in cui lo sposo acquistava dai parenti della donna i diritti su di lei; in tale fase storica, si sosteneva “consensus facit nuptias, non concubitus”; dunque il consenso iniziale, a prescindere dalle caratteristiche della convivenza, costituiva ragione stessa di indissolubilità.
Ma il cristianesimo cominciò a pretendere di dettare legge in tale materia e di fatto se ne appropriò. Nel IX secolo, Incmaro di Reims sostenne che non era il consenso a rendere indissolubile il matrimonio, bensì la congiunzione carnale; dopo di lui, Graziano affermò che il matrimonio inizia con il consenso, ma si perfeziona con la copula; prevalse comunque (fino ai nostri giorni) l’opinione di Pietro Lombardo, secondo il quale il consenso perfeziona il matrimonio, ma l’indissolubilità è condizionata dalla sua consumazione.
Da contratto sociale il matrimonio si trasformò così (dunque solo tardivamente) in ‘sacramento’, segno di unione di Cristo e della Chiesa (Concilio Lateranense II, del 1139; Decreto ‘Pro Armenis’ del 1439); ed il Concilio di Trento decretò, sotto pena di scomunica, che esso era stato istituito non dagli uomini ma da Dio. Posizione sostanzialmente confermata fino ai nostri giorni (‘Sillabo’ del 1864; Enciclica ‘Arcanum divinae sapientiae’ del 1880; Decreto ‘Lamentabili’ del 1907; Enciclica ‘Casti connubii’ del 1932). Negli ultimi due secoli il matrimonio religioso ha dovuto tuttavia cedere il primato legale a quello civile, con varie articolazioni nei diversi stati: dall’esclusione del valore civile di quello semplicemente religioso, ai vari Concordati fra Chiesa e Stati, con delega all’officiante religioso di una funzione ed autorità civili.

Secondo la dottrina consolidata della chiesa post-tridentina, il matrimonio ha tre fini, stabiliti da Dio stesso: la generazione ed educazione della prole, la mutua assistenza fra i coniugi, il rimedio alla concupiscenza. Il libro della ‘Genesi’ parla in effetti esplicitamente della funzione di generazione della prole; ma mentre afferma genericamente che la donna è stata formata per aiutare l’uomo, non altrettanto si esprime circa l’uomo nei confronti della donna. Né si parla di ‘rimedio alla concupiscenza’. Fu Agostino a sostenere pervasivamente (riecheggiando comunque Paolo di Tarso) questo concetto, in senso assolutamente spregiativo riguardo alla carnalità e soprattutto alla sensualità, che egli riteneva caratteristiche non presenti in Adamo ed Eva allorché si trovavano ancora nello stato di natura non decaduta. I due primi umani, secondo lui, avrebbero potuto generare, originariamente, con un semplice atto di volontà, senza provare alcun desiderio carnale.
Scorrendo le storie dell’Antico Testamento, si può comunque facilmente constatare quanto fosse diversa e variegata la situazione in ambito giudaico: assenza di tabù circa l’incesto fra i primi uomini; carattere strettamente patriarcale della famiglia; diffusa poligamia (il carattere monogamico del matrimonio non è sostenuto esplicitamente neanche nel Nuovo Testamento, e non è da considerarlo ovvio); pochi diritti concessi alle donne; facoltà riservata pressoché solo ai maschi di ripudiare il coniuge. Secondo gli apologeti, determinate norme furono dettate da Dio; alcune pratiche erano invece solo consentite da Dio, anche in relazione a prefissati suoi fini. C’è da credere comunque, assai più semplicemente, che i testi dell’Antico Testamento si limitassero a narrare in chiave mitica l’evoluzione nota dei costumi sociali (processo presente in qualunque cultura soprattutto nelle sue prime incerte fasi) ed i tentativi del tutto ‘terreni’ di regolamentarli. I salti concettuali (e gli adattamenti normativi) si presentano in tutta evidenza non tanto fra Antico e Nuovo Testamento, quanto piuttosto fra Antico Testamento e predicazione dei padri della Chiesa. A Cristo ed ai primi cristiani il matrimonio sostanzialmente non interessava, tanta era granitica la loro certezza sulla prossima fine dei tempi.

Volendo definire quale sia o sia stata, secondo la Chiesa cattolica, la configurazione naturale dell’istituto matrimoniale, non si può fare a meno, in definitiva, di sottolineare la ampia varietà delle forme del matrimonio presso i giudei, i primi cristiani ed i moderni.
Mentre viene ordinariamente sottolineato il carattere assolutamente volontario dell’unione, la non negoziabilità da parte umana dei principi istitutivi del matrimonio ‘naturale’ (ovvero l’indissolubilità, l’apertura alla vita, ecc…) è contestabile sotto diversi punti di vista. Si potrebbe pensare, ad esempio, come sottolineano in modo particolare i teologi contemporanei, che la base su cui poggia il matrimonio cristiano sia in fondo la differenza dei sessi. Ciò vale indubbiamente per l’atto generativo che richiede (in natura), l’incontro di due genitalità di sesso opposto. Ma per tutto il resto? Educazione della prole e mutuo consenso appartengono a qualunque forma di matrimonio praticato nelle varie culture: alla poligamia come alla poliandria, alla unione temporanea come a quella inscindibile; probabilmente anche alle unioni non fondate su differenze di genere. Nella Bibbia si può in effetti trovare quasi di tutto e non sembra che Dio abbia recriminato per questo più di tanto.
Né si può restare indifferenti alle evidenze delle scienze, che confermano il carattere assolutamente temporaneo delle unioni in gran parte del mondo animale, l’uso corrente della sessualità anche (o soprattutto) all’infuori di qualunque legame stabile ed a prescindere dallo scopo generativo, e la tipologia estremamente variabile delle unioni (dalla coppia stabile, all’harem, alla promiscuità assoluta).
Più che conformarsi ad un ordinamento naturale o divino non negoziabile, il matrimonio cristiano si configura in sostanza come una sofisticata forma di contratto, imposta alla collettività credente, con caratteristiche costanti e peculiari solo all’interno di limitati contesti storici, per lo più accordata (ed ancorata) alle caratteristiche del diritto tardo-romano.
Che il ‘semplice’ matrimonio extraliturgico (anche se ‘ratificato’ e consumato, dunque legalmente valido) non sia una ‘vero’ matrimonio (anche se del tutto ‘naturale’) lo sentenzia proprio la Chiesa, che non riconosce alcuna sacralità al matrimonio solamente ‘civile’, né a quello fra non battezzati, ed impedisce quello con appartenenti a religione diversa. Dunque neanche questi sarebbero ‘matrimoni’ naturali, se è vero che solo il matrimonio sacramentale fra battezzati è il vero matrimonio voluto da Dio e cui alluderebbe Cristo (secondo la Lettera di Paolo agli Efesini).
Forti perplessità riguardo l’impostazione cristiana del matrimonio derivano anche da considerazioni in tema di escatologia. La indissolubilità del matrimonio terreno andrebbe di pari passo con un certa idea di un suo proseguimento ultraterreno. Nell’aldilà i coniugi potrebbero vivere ancora insieme, ed ognuno ritroverebbe gli altri suoi cari perduti. Ma l’escatologia non ha mai definito chiaramente il problema del ‘genere’ nell’aldilà, così come quello del ‘sesso degli angeli’. La continuità fra mondo terreno e destino ultraterreno è tuttavia fondamentale nella regolamentazione teologica dell’istituto matrimoniale. Questo potrebbe essere in fondo un buon motivo per giustificare la persistente ostilità cattolica verso le unioni temporanee, che porterebbero ad esempio ad un aldilà popolato da famiglie, più che allargate, reciprocamente embricate fra di loro.
Il matrimonio cristiano, come meglio ritenuto dalla teologia protestante (che non gli attribuisce alcun carattere sacramentale), non è affatto una istituzione divina, e non costituisce alcuna eccezione all’ordine della natura, ma solo uno dei suoi aspetti; che si può accettare o rifiutare, ma che non si può imporre a liberi ordinamenti civili che invece accettano forme diverse di convivenza. Non è altresì detto che lo stato coniugale sia un bene assoluto rispetto allo stato di convivenza non coniugale, come non è altrettanto vero che lo stato virginale sia (come scrivevano gli evangelisti ed i padri della chiesa) un qualcosa di più perfetto rispetto alle altre condizioni.
La varietà dell’esperienza umana, che si riflette nella varietà delle legislazioni, determina invece ormai, più o meno dichiaratamente, un diffuso atteggiamento di accettazione (se non di predilezione) di scelte di vita diverse, delle quali alcune non sono presuntivamente né peggiori né migliori di altre, anche se talune appaiono (come il matrimonio eterosessuale ‘rato’) più funzionali, in prospettiva contingente, ad un ordinato vivere civile.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: "L'Ateo" n. 55 (1/2008)