Il papa e Gesù: poche chiare domande, banali risposte

Tre risposte sul coraggio della fede, davanti al dolore e alla persecuzione. E quattro risposte sulle verità della fede, quelle che toccano il cielo e sfuggono ai sensi di chi è sulla terra”. Così l’Osservatore Romano del 23 aprile 2011 commenta e apprezza la partecipazione di Benedetto XVI al programma “A sua immagine” (risultato a mio avviso più uno smaccato spot pubblicitario per i volumi papali su Gesù, che una lezione teologica di sufficiente spessore).
L’evento televisivo RAI è stato definito ‘inconsueto’ pressoché da tutti i commentatori; un “inedito dal sapore antico”, secondo l’Osservatore Romano, affrontato dal papa “con il garbo sapiente che caratterizza i suoi discorsi spontanei”.  Frasi che sembrano adulatorie oltre il lecito. In realtà, il papa parla in televisione praticamente almeno una volta la settimana, ed in assoluta diretta; il fatto inconsueto (che degrada non poco l’evento) è semmai la differita. Ma tutto il battage pubblicitario sulla trasmissione era centrato da oltre un mese sull’equivoco fra ‘trasmissione in diretta’ da studio, con le risposte dei presenti (tutti ovviamente di parte), e interventi ‘registrati’ del papa; per non parlare dell’impostura sul presunto ‘dialogo’ fra il papa e gli spettatori, che tale evidentemente non poteva essere; e senza tacere infine sulla assoluta mancanza di ‘spontaneità’ del papa che, pur non leggendo, certamente recitava un testo accuratamente preparato.
Ma al di la di queste finzioni televisive, cui purtroppo siamo abituati, vediamo cosa avrebbe dunque detto il papa, di così interessante da polarizzare fedeli e TV di mezzo mondo, rispondendo a sette domande, ovvero ben quattro in più delle preannunciate.
In risposta alla prima, di una bambina giapponese di sette anni che ha paura del terremoto, il papa ammette: “Anche a me vengono le stesse domande: perché è così? [..] non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che il Dio vero che si mostra in Gesù, sta dalla vostra parte. […] E un giorno potremo anche capire perché era così. […] un giorno, io capirò che questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che dietro di essa c'è un progetto buono, un progetto di amore. Non è un caso.“ Il papa delle certezze teologiche esordisce dunque con una non risposta ad una domanda inevitabile, perché pressata dall’attualità più recente (e chissà, forse anche dal caso De Mattei!). Ma non vi è nulla di nuovo sotto il sole; la questione data infatti almeno dai tempi di Giobbe, ed ha avuto sempre le stesse balbettanti risposte stereotipate, da parte dei teologi. Per il papa, la sua è speranza di fede; per il laico è debolezza argomentativa, per nulla una risposta.
La seconda domanda è di una madre con il figlio in stato vegetativo, ed ancora una volta fortemente legata all’attualità: “l'anima di questo mio figlio […] ha abbandonato il suo corpo, visto che lui non è più cosciente, o è ancora vicino a lui?". Il papa (strizzando certo l’occhiolino al parlamento italiano) risponde: “Certamente l'anima è ancora presente nel corpo. La situazione, forse, è come quella di una chitarra le cui corde sono spezzate, così non si possono suonare.” La metafora (che tanto è piaciuta a certi commentatori) è assolutamente banale, e fa parte del repertorio più pedissequo della catechesi, almeno degli ultimi secoli, nel corso dei quali è stata illustrata con pseudoteorie mediche costantemente sconfessate dall’arricchirsi delle conoscenze scientifiche sul  cervello e sulla mente. E’ interessante comunque rilevare come essa rifletta una concezione prettamente dualista dell’unione fra anima e corpo che sembrava invece sostanzialmente in abbandono, in tempi recenti, da parte di molti teologi e perfino del precedente papa.
Benedetto XVI inoltre aggiunge: “Io sono anche sicuro che quest'anima nascosta sente in profondità il vostro amore, anche se non capisce i dettagli, le parole, eccetera, ma la presenza di un amore la sente”. Come ciò avvenga, a livello neurofisiologico ovvero nella realtà biologica, è davvero un mistero! Ma ovviamente al papa non interessa spiegare come ciò potrebbe avvenire; la domanda è infatti chiaramente pensata (e più pensata che scelta, ritengo, fra quelle che sarebbero arrivate in redazione) in funzione di qualcosa che il papa vuole porre in grande risalto, parlando di “rispetto per la vita umana, anche nelle situazioni più tristi”; chiaro riferimento alla negata libertà di scelta nel fine vita da parte della Chiesa.

Le domande successive, sulla situazione politico-religiosa in Iraq ed in Costa d’Avorio non sembrano proprio avere alcun legame con Gesù, che da uomo “venuto debole” su questa terra non poté usare né predicare, secondo il papa, la violenza come mezzo di pace.

Finalmente, alla quinta domanda, si parla (come promesso) di Gesù; ed in particolare (visto il periodo dell’anno liturgico) della sua morte e risurrezione e della sua discesa agli Inferi, che Benedetto XVI riduce a “viaggio dell'anima” di Gesù, che “va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i tempi”. Gli ‘Inferi’ dunque, almeno per Benedetto XVI, sarebbero niente altro che le “profondità dell'essere umano, [le] profondità del passato dell'umanità”. Via dunque tutte le immagini realistiche della predicazione tradizionale; e largo ad un papa psicologo del profondo più che teologo!

Il quale potrebbe comunque rientrare nel ruolo che gli compete con la sesta domanda, sempre riferita alla resurrezione di Gesù: “Cosa significa, esattamente, corpo glorioso? E la Risurrezione sarà per noi così?". Ma anche qui la risposta stenta: “non possiamo definire il corpo glorioso perché sta oltre le nostre esperienze […] Gesù non muore più, cioè sta sopra le leggi della biologia, della fisica, perché sottomesso a queste uno muore. Quindi c'è una condizione nuova, diversa, che noi non conosciamo”. Una risposta che ripropone uno dei tanti ‘misteri’ del cristianesimo: dunque un mistero e non una risposta, quale invece sembravano ben conoscere e fornire i teologi dei tempi passati.

E passiamo all’ultima domanda, che ottiene la risposta più lunga ed articolata; che non a caso riguarda più Maria che Gesù; e che ancora una volta ripropone la catechesi più ovvia. Ma con la ciliegina finale, giacché sembra ben inserirsi nelle problematiche di Medjugorje (attuale tasto dolente del papato). La domanda è: “Santo Padre [….] ha in cuore di rinnovare una consacrazione alla Vergine all'inizio di questo nuovo millennio?”. Benedetto XVI, che da cardinale aveva dovuto districarsi con la spinosa questione di Fatima e che su questo argomento dell’affidamento dovrebbe avere le idee più chiare di chiunque altro, inizia tergiversando: “i Papi - sia Pio XII, sia Paolo VI, sia Giovanni Paolo II - hanno fatto un grande atto di affidamento alla Madonna e mi sembra, come gesto davanti all'umanità, davanti a Maria stessa, era un gesto molto importante.” Poi dichiara: “Forse un giorno sarà necessario ripeterlo, ma al momento mi sembra più importante viverlo […] al momento non avrei l'intenzione di un nuovo pubblico affidamento, ma tanto più vorrei invitare ad entrare in questo affidamento già fatto”. Con buona pace della teologia e della brutta storia di Fatima; dimenticando che in quel caso si parlava (e nella domanda si parla) di ‘consacrazione’ e non di ‘affidamento’, e che la madonna di Fatima (a detta della veggente Lucia) chiedeva esattamente un grande e pubblico esorcismo (che non implica il consenso e l’adesione intima dei fedeli).

Stranamente, sembra che l’apparizione del papa in TV abbia riscosso di per sé sui media maggiore attenzione delle sue affermazioni, certamente apparse fin troppo ovvie. Ma vale la pena di riportare almeno il commento di Vittorio Messori, che inizia il suo articolo sul Corriere della Sera (del 23 aprile 2011) con una provocazione, bacchettando gli “entusiasmi di certi ambienti clericali un po` ingenui;  quelli per i quali qualunque scelta vaticana, anche se meramente pastorale, è sempre da applaudire”; e che si domanda se alla salvezza delle anime “giova davvero l’impiego di ogni tecnica e tecnologia”. Secondo Messori, i credenti e “gli stessi non credenti in ricerca sincera” oggi hanno bisogno non di un opinionista, ma di un “Maestro. Di un uomo che non dica «secondo me», ma che parli con autorità, che abbia il coraggio di dire «secondo la rivelazione di Dio»”. Per questo motivo, Messori apprezza (oltre ogni merito, a mio avviso) la performance del papa, del quale elogia i “temi e problemi «da catechismo» affrontati […] secondo la prospettiva tradizionale, ma rischiarata da espressioni efficaci (l`uomo in coma come «una chitarra dalle corde tagliate»)”; dimenticando che proprio le corde tagliate sono nella “prospettiva tradizionale”, e che metafore equivalenti risalgono addirittura almeno al pensiero platonico. Altri commenti semmai (il viaggio agli Inferi come viaggio dell’anima) sono assolutamente non tradizionali.
Nel complesso, secondo Messori, “Nessun «secondo me», dunque nessun rischio di ridurre un Papa a opinionista da giornale”. A giudicare dalle risposte mi è sembrato proprio il contrario. Non a caso questo papa sembra parlare, illustrando una sua ‘personale’ idea su Gesù, più da libero pensatore (con le sue ipotesi ed i suoi dubbi) che come detentore di una Verità rivelata e presuntivamente identica a se stessa già da quasi due millenni.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: www.uaar.it (26 aprile 2011)