Presi dalla rete
di Francesco D'Alpa

La conservazione della cultura digitale 

Per trasmettere e conservare la cultura occorre memorizzarla su qualcosa di materiale. Dopo che il libro ha svolto questo compito per alcune centinaia di anni, l'avvento dei supporti digitali è stato salutato come un fondamentale progresso. In realtà, per certi versi, questa modernizzazione suscita forti perplessità. Si potrà fra qualche secolo leggere i nostri dischetti così come oggi noi leggiamo le pagine scritte dai nostri antenati? L'opera incisa sul disco è fruibile solo in quanto è disponibile una macchina che ne decodifichi lo specifico codice; e se è vero che la durata di un CD-ROM è stata calcolata in forse migliaia di anni, è altresì vero che piccole imperfezioni o danni parziali ne possono compromettere la leggibilità. La tecnologia andrà sempre più avanti, con il tempo, rendendo obsolete le attuali specifiche di memorizzazione; dunque occorrerà aggiornare in continuazione gli archivi, adeguandoli alle future nuove tecnologie, con notevoli costi. E questa riconversione dei dati potrebbe in qualche modo alterarli o degradarli, così come già ora la digitalizzazione in effetti degrada i dati analogici. 

In effetti, in futuro, potrebbe essere ancora più facile leggere un libro che estrarre i dati da un supporto digitale: preoccupazione che ha spinto i governi a studiare metodiche ed a dettare norme che consentano una più efficace conservazione dei dati per le generazioni future. 

Il passaggio dalla trasmissione orale alla sua rappresentazione e trascrizione materiale (scrittura, iconografia) ha accompagnato e determinato il fondamentale passaggio dalla cultura-tradizione alla cultura-catalogazione. Nella tradizione orale solo ciò che è condiviso "nel cervello" sopravvive e ciò che non viene condiviso muore. L'uomo primitivo non si chiede il perché degli elementi della propria cultura: essi sono lì e per lui lo sono sempre stati, presenti ed inevitabili. La trasmissione tramite manufatti opera invece una distribuzione di elementi, che possono essere accumulati e non utilizzati; che possono in una fase successiva essere riscoperti e necessitare di una ricomprensione ed interpretazione; ma allo stesso tempo stabilizza la cultura e garantisce il mantenimento di contenuti, senso e valori; quanto acquisito viene difeso dai rischi di perdita o di dispersione. 

I contenuti dei depositi culturali vanno inoltre "storicizzati". L'opera stampata funge solitamente da riferimento nei percorsi mnemonici e concettuali. Se, secondo Platone, con l'uso della scrittura l'uomo avrebbe disimparato a ricordare, è solo con l'uso della scrittura che la società si è data una dimensione conoscitiva nella prospettiva storica. 

Il libro è stato per oltre due millenni al centro della cultura, vera e propria presenza fisica, cui fare riferimento. Mentre il ricordo diretto dell'autore muore con quelli che l'hanno conosciuto e le sue idee rivivono con quelli che le riformulano e studiano, il libro è ancora compresenza dell'autore stesso, e ne riporta il pensiero originale. Pur nella sua riedizione, al di là di aspetti secondari ed esteriori, perpetua quanto in esso è stato immesso, nella sua formulazione originaria. 

Il processo editoriale su Internet invece non genera (almeno nel modo attuale) alcun prodotto stabile. Ogni pagina è effimera, spesso neanche datata; ed in molti casi non avrà mai lo status di riferimento definitivo, potendo sempre essere rifatto in tutto o in parte, e senza che questo processo sia immediatamente percepibile. Infatti due visitatori di un sito, in momenti anche non troppo lontani, non hanno mai la certezza di leggere esattamente lo stesso documento. 

La creazione di depositi digitali della cultura crea effetti paradossali (almeno nell'ottica tradizionale). La stampa di un libro origina mille rappresentazioni dello stesso oggetto, ognuna originale; il deposito su di un server può essere tuttavia l'unico esemplare di qualcosa; se questo server dovesse scomparire, si perderebbe per sempre la possibilità di riprodurlo. 

Più che con i supporti precedenti, l'originale può essere oggetto di cancellazione, contraffazione, alterazione, modifica; chi garantisce dunque la sua preservazione? Di fatto, quasi ogni sito ha una sola pubblica rappresentazione, ed una sola memorizzazione, a parte quella che conserva il suo creatore. E' come se un autore avesse due sole copie di un libro, una per sé ed una per il pubblico. La copia pubblica rischia di svanire e quella privata di non uscire più dalle mani del suo autore. Cosa resta dunque di questa opera? L'immenso patrimonio di Internet è sotto la scure di un generale black-out? 

Parallelamente al crescere del materiale in rete, sono stati proposti vari progetti di conservazione. Possiamo distinguere almeno tre filoni. Innanzitutto la creazione di un immenso archivio di tutti i dati disponibili e dunque in pratica una replica di tutti i siti attivi. Un secondo tentativo è quello di copiare ed archiviare le pagine WEB che continuamente scompaiono dai server per fare posto a quelle più nuove. Questa è la linea seguita nel 1997 dal progetto americano "Internet Archive ", che tuttavia si scontra contro alcune obiezioni di fondo: la proprietà intellettuale di chi ha costruito i siti, e la non espressa volontà di archiviare e conservare il materiale immesso in rete. 

Un terzo filone è quello di invitare pubblicamente i webmaster a gettare in un cimitero virtuale gli "scarti" del proprio lavoro. 

Va riconosciuto ai propugnatori di queste iniziative almeno un merito, quello di avere posto l'accento sulla volatilità della cultura digitale e sul rischio di edificare un cultura senza passato e senza storia. 


 01-11-2001

Pubblicato su: https://www.cicap.org/n/articolo.php?id=200048