Editoriale L'ATEO 1/2019
di Francesco D'Alpa
Come scrive Andrew Copson nel suo saggio sulla Laicità (che invito i nostri lettori a leggere), che l’UAAR propone nella collana Nessun Dogma, recensito in questo numero de L’Ateo, il filosofo ed economista britannico John Stuart Mill (1806-1873) riteneva che «tra le opere umane che la vita giustamente si sforza di perfezionare e rendere più belle, la prima in ordine d’importanza è sicuramente l’uomo stesso» e per questo occorre sviluppare in lui «facoltà umane quali la percezione, il giudizio, il discernimento, l’attività mentale [...] la preferenza morale», tenendo presente che «la natura umana non è una macchina [...] ma un albero, che ha bisogno di crescere e svilupparsi in ogni direzione». Di ciò sono prerequisiti, non solo secondo Copson, le libertà di coscienza, pensiero e religione.
Qui siamo molto lontani da quella spregevole idea di “laicismo” sotto la quale le sirene cattoliche gettano fango sugli atei e sull’ateismo in genere, che della autentica laicità è il più vitale sostenitore. E l’UAAR la sostiene fortemente sin dalla sua fondazione, sottolineando nel suo Statuto (e ricordandolo fra i suoi “Valori” citati nella penultima pagina di questa rivista), che obiettivo principe della società non può che essere l’eudemonismo, ovvero la legittima l'aspirazione dell'uomo alla felicità come scopo fondamentale della vita, piuttosto che l’impossibile raggiungimento di un fantasioso premiante aldilà.
Queste minime considerazioni sono alla base del tema cui è dedicata la parte monografica di questo numero della nostra rivista, nella quale ci interroghiamo su cosa sono e come sono nate le religioni. Come ci indicano Enrica Rota e Maria Turchetto, e come ben supportato dagli articoli che seguono, le risposte sono tante, antiche e moderne, e non basterebbe una enciclopedia per elencarle e svilupparle. Certamente ci hanno provato in tanti: storici, antropologi, filosofi, psicologi e via dicendo, fino ai dati più recenti raccolti dai neuroscienziati.
Ma forse, la maggior parte di voi lettori (partecipe delle discussioni accademiche o più semplicemente allergica al clero) sarà maggiormente interessata alle ricadute sociali delle religioni. Qui allora occorrerebbe scrivere più della Chiesa (o delle Chiese) e delle sue tante malefatte, che non delle religioni. L’UAAR svolge in tal senso un’opera preziosa, con le sue iniziative legali, con la presenza nei media, con una biblioteca giunta recentemente a 5000 titoli, anche se scarsamente e solo occasionalmente supportata dalle forze politiche e dalle istituzioni (se non con il cinque per mille, peraltro generosamente alimentato da voi iscritti), tanto meno da chi si alterna al governo del nostro paese, che indubbiamente (e con non indifferente ritorno) preferisce foraggiare il mondo clericale.
L’ultimo esempio è quella della annosa questione del pagamento di ICI ed IMU, con particolare riferimento per il passato, per l’aiuto di Stato offerto alle tante attività commerciali della Chiesa che in qualche modo ha turbato la libera concorrenza e certamente depauperato le finanze pubbliche di legittime risorse. La sentenza emessa nel novembre 2018 dalla Corte di Giustizia Europea, in base alla quale la Chiesa dovrebbe “risarcire” lo Stato italiano di non meno di 4 miliardi di euro per tasse non pagate (di fatto non richieste neanche da precedenti governi più “laici”), rischia infatti di non avere alcun effetto (anzi ne siano quasi certi), in ossequio alla perpetua sudditanza psicologica dei politici, all’inerzia della burocrazia, e forse in velato omaggio alla “misericordia” bergogliana che tutto ripiana senza esborso, unita al “condonismo” del governo gialloverde.
Tornando al discorso prettamente “filosofico”, circa gli effetti negativi o positivi delle religioni, credo che non si potrà mai raggiungere un accordo, perché ognuno solitamente ne tiene presente o ne esamina a fondo solo un aspetto. Sotto un punto di vista antropologico, dovrebbe essere chiaro che se le religioni esistono, un motivo (evidentemente biologico per noi materialisti) deve pur esserci: forse un vantaggio evolutivo. Ma dobbiamo stare ben attenti, almeno secondo la mia visione, a distinguere fra religiosità, religioni e Chiese organizzate. Una generica “religiosità” (comunque la si voglia intendere, anche in senso sentimentale) può infatti segnare l’esperienza di uomini quanto mai lontani dalle religioni organizzate (ne erano un esempio i deisti); o comunque le religioni potrebbero di per sé avere un impatto solo sulla sfera privata, senza alcuna necessità di esprimersi in regole di comportamento collettive. Ma la Chiesa (fra tutte quella cattolica) è altra cosa, ovvero potere, commercio, asservimento delle coscienze; e per ottenere questo risultato deve essere impositiva o in qualche modo “culturalmente” propositiva. Dunque richiede suggestioni rituali, prove storiche circa i fondatori e profeti, e quant’altro di conveniente. L’Ateo ne ha da sempre proposto specifiche analisi critiche.
Concludo questo editoriale, che convenzionalmente racchiudiamo in una pagina della rivista, con un cenno a qualcuna delle iniziative previste per l’anno in corso.
Fermo restando il nostro proposito redazionale di occuparci maggiormente della laicità e delle iniziative ed attività della nostra associazione, innanzitutto continueremo il discorso sulle religioni. Ci occuperemo fra le altre cose di una illustre vittima del furore religioso, Giulio Cesare Vanini, del quale Francesco Paolo Raimondi anticipa una nota biografica e riportiamo alcune citazioni; così come del Gesù storico, dietro sollecitazione di un nutrito gruppo di lettori (che evidentemente non disdegnano l’avere noi sempre dedicato tanto spazio alla critica delle religioni). E certamente ci prenderemo la briga di continuare il discorso sulle tante rivoluzioni di un papa che (come Tancredi, il gattopardiano nipote del principe di Salina) probabilmente ritiene che qualcosa debba cambiare perché tutto resti come prima (l’ultima nuova, che mi fa gola commentare e che certamente non metterò nel dimenticatoio, è quella sul “Padre nostro” su cui molto si può dire).
Nel frattempo, battete un colpo: non reclameremo mai abbastanza i vostri contributi, su questo ed altro!