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Relativismo halal

di Francesco D’Alpa

[L’ATEO, 4/2018]

Secondo un’indagine condotta a Milano fra il 2012 ed il 2013, 222 macellerie islamiche sulle 300 controllate vendevano carne spacciandola falsamente per Halal, mentre in realtà conteneva ancora del sangue, o non era macellata secondo il prescritto rituale; in qualche caso gli insaccati contenevano anche carne ‘impura’, ovvero di asino, maiale o altri carnivori. Se per le autorità civili si trattava di semplice contraffazione alimentare (probabilmente senza significativo rischio per la salute), dal punto di vista religioso la contraffazione era quanto mai grave. Infatti l’islam prevede che l’animale vada sgozzato da un addetto rigidamente musulmano, mentre ha il capo rivolto a La Mecca, e con un solo taglio netto che gli eviti ogni sofferenza; ma non per pietà verso di lui, quanto piuttosto perchè se soffre o si spaventa vedendo altre macellazioni, i suoi muscoli potrebbero contrarsi trattenendo del sangue (ed inoltre la carne risulterà più tenera e senza il sapore di acido lattico)! Del resto anche certi allevamenti di polli halal non mancano di crudeltà: I poveri pennuti, posti su di una catena di montaggio, vengono sgozzati in serie, col capo rivolto a La Mecca, mentre un nastro registrato diffonde una preghiera.

Un chiaro esempio di quanto anche nel mondo islamico le prescrizioni religiose vadano perdendo nel singolo individuo la loro rilevanza e persistano spesso solo di ipocrita facciata.