PAROLE, PAROLE, PAROLE…

L’anima: nessuna o  centomila?

di Francesco D’Alpa 

[L’ATEO, 1/2018]

 

Tre diversi interventi sul numero 5/2017 dell’ATEO hanno provato a cacciar fuori l’anima dai nostri pensieri. Certo a ragione, in virtù dell’ineludibile riferimento a quell’anima cristiana, che nemmeno i più tradizionalisti fra i credenti ed i più seri fra i teologi sanno più che cosa sia (che cosa sia stata, nel bene e nel male, lo sappiamo tutti). Ma di anime in verità ce ne sono tante, e non è possibile liquidarle tutte, che anzi più vai cercando più si moltiplicano, come le definizioni del naso di Cyrano de Bergerac.

Certune sono essenziali al nostro modo di comunicare: due corpi e un’anima; l’anima delle cose; l’animazione dei cartoon; l’animazione turistica… e mille altri significati ed usi, come l’anima dei computer, ovvero il software che li rende operativamente intelligenti. Già! Il software, una ‘non cosa’ un ‘non palpabile’, un assoluto immateriale, proprio come l’anima nelle sue concettualizzazioni più rarefatte.

Ammettiamolo; nel linguaggio comune il termine anima è proprio insopprimibile! Il flogisto l’abbiamo sostituito con l’ossigeno, l’etere con il vuoto cosmico o la materia oscura; ma l’anima? Cosa mettiamo al suo posto? Il codice genetico, forse; ma si tratta solo di una serie di mattoni cui occorre comunque sovrapporre un principio ordinativo, che basilarmente è nel DNA stesso, ma lo trascende nel momento in cui la materia si relaziona al ‘mondo’, in cui si rivela ‘spirito’.

Confesso una grande ammirazione ed un enorme interesse per tanti uomini che nel corso della storia hanno cercato di definire metafisicamente l’anima; soprattutto perché spinti dal desiderio di sopravvivenza e da quella speranza nell’immortalità che soggiace al concetto di anima. Ma non fermiamoci alla superficie; andiamo più a fondo. Ripensiamo e rivalutiamo lo sforzo fatto per secoli per cercare di capire l’uomo, nella sua più intima natura, anche all’interno delle concezioni religiose, che non sono certo tutte da buttare; o almeno, non è da buttare tutto quello che affermano o che cercano di spiegare.

Cos’è o cosa sarebbe l’anima? L’idea prevalente, nella storia sia della filosofia che del cristianesimo, è che l'anima sia ciò che forma e informa il corpo, principio di moto, sede di tutti i caratteri spirituali; secondo la: “Volgata”, ‘spiraculum vitae’, «qualcosa di vivente dentro l’uomo, che deriva dallo Spirito Divino».

La teologia non manca di risposte: principio di vita; immagine di Dio; vera essenza dell’uomo; costante dell’essere; principio umanizzante del corpo; principio dell’individualità e della persona; personalità; soggettività; coscienza, consapevolezza; parte migliore dell’uomo; interiorità, intimità e vita personale; libero arbitrio; volontà; ‘Io’; presupposto morale; coscienza morale; principio di libertà. Una per tutte, la definizione di Tertulliano, particolarmente complessa: «Definimus animam Dei flatu natam, immortalem, corporalem, effigiatam, substantia simplicem, de suo sapientem, varie procedentem, liberam arbitrii, accidentis obnoxiam, per ingenia mutabilem, rationalem, dominatricem, divinatricem, ex una redundantem». [1]

L’apologetica cristiana ha sempre elencato alcune presunte prove dell’esistenza dell’anima. Alcune, che potremmo definire ‘oggettive’, sarebbero desumibili dall’osservazione e dal ragionamento, dunque accessibili dalla ragione naturale: la disparità fra corpo ed anima, l’evidenza di funzioni e proprietà non altrimenti spiegabili; l’irriducibilità dello psichismo; l’attività finalistica dell’organismo. Molte altre sono invece ‘psicologiche’: la consapevolezza dell’individualità; quella intuitiva dell’esistenza della propria anima; quella della opposizione fra anima e corpo; la persistenza dell’io rispetto ai mutamenti del corpo; la presenza di attività spirituale; il senso di responsabilità; la ripugnanza verso l’idea di una morte definitiva. Ma il modello classico dell’anima cristiana è oramai quasi abbandonato.

Secondo Wilhelm Maximilian Wundt (1832-1920), ed oggi per il pensiero laico, quello di anima è un ‘concetto sussidiario’, una comoda metafora: serve solo per dare un riferimento ai fenomeni, per un certo residuo ‘bisogno metafisico’; in realtà l’essenza dell’anima è la realtà immediata dei processi. Fra ciò che accade nel corpo fisico e ciò che accade nello psichismo esiste uno stretto parallelismo; non si tratta di due oggetti diversi di esperienza, ma semplicemente di due punti di vista diversi di una stessa esperienza.

Di fatto, il problema della coscienza ha sostituito definitivamente quello dell’anima. Oggi si parla piuttosto di ‘mente’, secondo la lezione di Spinoza, intendendo con ciò un sistema dinamico di percezioni differenti, interagenti fra di loro.

Così, secondo Antonio Damasio, noi abitualmente usiamo le espressioni ‘il mio corpo’, ‘la mia mente’, ‘il mio cervello’ (anzichè ‘il corpo che sono’, ‘la mente che sono’, ‘il cervello che sono’) solo per comune modo di dire, per utilità, ma in realtà non si ‘possiede’ un corpo così come si possiede un qualunque oggetto. L'unità del corpo è una ‘collezione di processi’, dai più semplici che si svolgono al livello puramente biologico, a quelli più complessi, che si svolgono nella mente: che gli uni siano indipendenti dagli altri, dunque che il ‘se stessi’ sia separato dal ‘corpo’ (più in generale: che esista un dualismo fra una sostanza materiale ed una spirituale) è dunque una sorta di illusione, un equivoco. Mente e cervello sono termini che si riferiscono a due tipi molto diversi di processi, non di oggetti. [2]

Il termine ‘Io’ non va dunque riferito a qualcosa di preciso (come un tempo si pensava fosse l’anima) ma ad un aspetto particolare della coscienza, che a sua volta è costituita da molti livelli di organizzazione, ognuno con le sue proprietà. Il termine ‘Io’ è la traduzione linguistica di un processo che si sta sviluppando in un preciso momento, che si svolge nel tempo, e che è fondato su un determinato livello biologico. La mente individuale esiste solo fino ad un certo punto, essendo in gran parte espressione di un complesso intreccio di interazioni collettive e sociali. In tal senso l’unità dell’Io è in gran parte solo apparente.

Francis Crick, uno degli scopritori del DNA, ritiene che l’anima (o meglio la coscienza) possa essere definitivamente spiegata in termini biologici, come funzione di gruppi neuronali. Non si potrebbe giungere a conclusioni diverse, se solo si tiene conto di tutti i dati clinici e sperimentali sull’uomo e sugli animali. Base della coscienza sarebbe una particolare struttura cerebrale, mentre il suo funzionamento è indubbiamente legato alle reazioni biochimiche del cervello.

Il filosofo Michel Henry (1922-2002) ritiene che esista una ‘struttura dell’essere del nostro Io’ (una ‘essenza dell’ipseità’) che va oltre la ‘esperienza interna’ descritta da Kant; quest’ultima non sarebbe altro che una semplice ‘rappresentazione’, mentre invece «l'essere dell'io non può sorgere, né mostrarsi, nel cuore dell'esteriorità». Per Henry la soggettività non è trascendente e la relazione soggettiva dell'Io col proprio corpo non è nient'altro che la relazione fondamentale del corpo con sé stesso; l’anima (‘ipseità’) non è altro che la coerenza interna primaria dello «abitacolo che noi siamo, in cui siamo e in cui siamo dei viventi»: il corpo è la realtà ontologica costitutiva della natura umana, è un ‘corpo soggettivo’, che può essere ripreso e giudicato, e l’anima non è altro che l’ego di questo corpo.[3]

Parallelamente, la biologia contemporanea ha identificato e precisa sempre meglio quali siano le basi del comportamento: umorali, neurofisiologiche, genetiche. Dalle semplici sensazioni alle più sofisticate attività psichiche (capacità di scelta, tendenze etc…), tutto è in qualche modo ricollegabile ad una certa struttura; alla base di ogni comportamento c’è una ragione scritta nel corpo, e prima ancora nei geni.

Ma anche il mondo delle macchine spinge a drastiche ridefinizioni. I prodotti della cultura umana si vanno essi stessi umanizzando: gli abbiamo venduto l’anima?

 

[1] Tertulliano, De Anima, cap. 22.

[2] Damasio A., Descartes' Error: Emotion, Reason and the Human Brain. Grosset/Putnam, New York, 1994. Ed. it.: L'errore di Cartesio. Emozioni, ragione e cervello umano. Adelphi, Milano, 1995

[3] Henry M., Le concept d'âme a-t-il un sens?, in Revue philosophique de Louvain,  64 (1966)