Darwin, il razzismo, la malafede.

di Francesco D’Alpa 

[L’ATEO, 1/2018]

 

Il razzismo ha tanti volti, ed a guardarli senza un adeguato occhio critico si finisce per diventare strabici. Proprio il caso di certi commentatori cattolici, probabilmente versati più alla polemica che alle scienze, non adeguatamente competenti su quanto scrivono o colpevolmente superficiali, interessati quasi solo al plauso delle loro conventicole.

Tanto per fare un esempio, Francesco Agnoli, uno dei più attivi pubblicisti cattolici ‘antiscientisti’ attuali, si scaglia nei suoi tanti libri ed interventi in rete contro coloro che intendono purificare la memoria di Darwin dall’accusa di razzismo, e nel caso specifico contro Telmo Pievani, che avrebbe colpevolmente scritto: «Altri si spacciano per esperti e insistono nell’ignorare spudoratamente la storia della scienza sostenendo che Darwin fu il padre del razzismo e di chissà quali altre nefandezze. Chi conosce le tecniche di comunicazione sa che è difficile rispondere a un interlocutore in malafede che sostiene idiozie simili». [1]

Non si tratta di un episodio isolato; un’ampia letteratura di parte sostiene da lungo tempo l’accusa di razzismo non solo nei confronti dei continuatori del pensiero di Darwin, i teorici del cosiddetto ‘darwinismo sociale’, ma verso lui stesso. Ed invariabilmente, come nel caso dell’UCCR (Unione Cristiani Cattolici Razionali, tenaci oppositori dell’UAAR), citano due passi della “Origine dell’uomo”. Il primo recita: «Noi uomini civilizzati facciamo di tutto per arrestare il processo di eliminazione; costruiamo asili per pazzi, storpi e malati; istituiamo leggi per i poveri ed i nostri medici esercitano al massimo la loro abilità per salvare la vita di chiunque all’ultimo momento. Vi è motivo per credere che la vaccinazione abbia salvato un gran numero di quelli che per la loro debole costituzione un tempo non avrebbero retto al vaiolo. Così i membri deboli delle società civilizzate propagano il loro genere. Nessuno di quelli che si sono dedicati all’allevamento degli animali domestici dubiterà che questo può essere altamente pericoloso per la razza umana. […] Dobbiamo quindi sopportare l’effetto, indubbiamente cattivo, del fatto che i deboli sopravvivano e propaghino il loro genere, ma si dovrebbe almeno arrestarne l’azione costante, impedendo ai membri più deboli e inferiori di sposarsi liberamente come i sani.» [2, p. 628]. Il secondo, poco più avanti, afferma: «L’uomo investiga scrupolosamente il carattere e il pedigree dei suoi cavalli e dei suoi cani prima di accoppiarli. Ma quando si tratta del proprio matrimonio, raramente, o mai, si prende questa cura. […] Tuttavia con la selezione egli potrebbe agire in qualche modo non solo sulla struttura fisica e l’ossatura della sua prole, ma sulle loro qualità morali e intellettuali. […] L’avanzamento del benessere del genere umano è il problema più complesso: tutti coloro che non possono evitare la povertà per i propri figli dovrebbero evitare il matrimonio: infatti la povertà non è solo un grande male, ma tende al proprio incremento portando alla sconsideratezza del matrimonio. D’altra parte Galton ha osservato che, se il prudente evita il matrimonio mentre l’incauto si sposa, i membri inferiori tendono a soppiantare i membri superiori della società.» [2, pp. 973-974]

Nessun dubbio, a mio avviso, sul fatto che Darwin ragioni innanzitutto da ‘osservatore neutrale’, ovvero prendendo atto di un fenomeno oggettivo (il superamento ‘culturale’ delle leggi di selezione naturale); e che di conseguenza proponga delle ‘correzioni’ in termini di ‘eugenetica’ (nel senso migliore del concetto). Ma in quanto ad esplicito razzismo, in queste frasi sicuramente non se ne trovano tracce. Ed anzi, è lo stesso Darwin a darcene la immediata dimostrazione, in un passo abilmente occultato dai suoi denigratori, posto giusto al centro della prima di queste due ampie citazioni. Egli infatti scrive: «L’aiuto che si sentiamo costretti a dare a chi ne è privo è soprattutto un risultato incidentale dell’istinto di simpatia, che fu acquisito originariamente come parte dell’istinto sociale, ma in seguito reso, nel modo precedentemente indicato, più delicato e più diffuso. Non è neppure possibile frenare la nostra simpatia, anche quando urge un impellente motivo, senza un deterioramento della parte più nobile della nostra natura. […] se dovessimo intenzionalmente trascurare i deboli e gli incapaci, potrebbe soltanto accadere per un beneficio contingente, con un opprimente senso di colpa immediata. [2, p. 628]

Il cattolico ‘scrittore e giornalista’ Agnoli, come tanti altri, scrive indubbiamente d’istinto, e lancia accuse non suffragate da prove adeguate; ma soprattutto non applica coerentemente una massima evangelica, che gli dovrebbe essere ben nota: «Perché guardi la pagliuzza che è nell'occhio del tuo fratello, e non t'accorgi della trave che è nel tuo?» [Luca, 6:41]. Perché in questo caso la trave è rappresentata dagli elogi che egli rivolge al Nobel Alexis Carrel, (‘scienziato dunque credente’, come enfaticamente lo definisce), che, dopo avere ‘certificato’ (con grande sconcerto della comunità medica francese) un presunto miracolo di Lourdes, si è pienamente convertito al cattolicesimo, ed è stato autore di scritti elogiativi della preghiera e del misticismo.

In una breve nota biografica sullo ‘scienziato credente’ Alexis Carrel, Agnoli cita in un suo libro questa frase del medico francese: «C’è un grande differenza fra Gesù di Nazareth e Newton ed è che il precetto dell’amore reciproco è una legge infinitamente più importante della gravitazione universale»; laddove, al contrario, ha parole di disprezzo per il ‘razzista’ Francis Galton, che «fu il primo a proporre l’idea […] di matrimoni selettivi, di segregazione dei disgenici, della sterilizzazione dei barboni, poveri, malati, idioti, persone assai genericamente “inferiori”, allo scopo di impedirne la procreazione, per migliorare la razza.» [3]

Ma le cose stanno proprio all’opposto; e per dimostrarlo mi si perdoneranno le numerose citazioni dell’opera più celebre di Carrel, da lui scritta a conversione già avvenuta, che godette alla sua uscita (nel 1935) di un enorme successo internazionale, e la cui risonanza negli ambienti cattolici non sembra per nulla sminuita, né sembra procurare imbarazzi.

Tanto per cominciare, Carrel sembra ripetere passo passo le considerazioni (tanto criticate) di Darwin: «Bisogna anche chiedersi se la grande diminuzione della mortalità nell’infanzia e nella giovinezza non presenti qualche inconveniente. Infatti i deboli sono conservati come i forti, e la selezione naturale non serve più. Nessuno può prevedere quale sarà il futuro di una razza così protetta dalle scienze mediche, ma noi abbiamo di fronte un problema assai più grave e che richiede una soluzione immediata. Mentre infatti le malattie come le diarree infantili, la tubercolosi, la difterite, il tifo. ecc. sono eliminate, e la mortalità diminuisce, aumenta il numero delle malattie mentali.» [4, pp. 34-35] Poi sembra seguire le tracce di Galton: «Ogni uomo porta sul suo viso la descrizione del suo corpo e della sua anima.» [4, p. 79] Questo già basterebbe a porlo sullo stesso piano del criticato Darwin; ma, a differenza del naturalista inglese, che segue la strada della nobiltà d’animo e della simpatia verso i deboli, Carrel si inoltra nell’abisso morale della peggiore eugenetica razzista, fondata sul concetto di ‘razza eletta’, con conseguente deriva sociale: «È veramente inutile continuare l’elaborazione di un sistema di vita che porta alla demoralizzazione e alla scomparsa degli elementi più nobili delle grandi razze.» [4, p. 57] «Le grandi razze bianche devono il loro successo alla perfezione del sistema nervoso, il quale, benché molto sensibile ed eccitabile, è pure suscettibile di ogni disciplina.» [4, p. 123] «Un altro errore, dovuto alla confusione del concetto di essere umano e di individuo è l’eguaglianza democratica. […] Come mai l’umanità ha potuto credervi così a lungo? […] Certamente gli esseri umani sono uguali, ma tali non sono gli individui e l’eguaglianza dei loro diritti è pura illusione.» [4, p. 288] «L’uomo moderno è indifferente a tutto fuorchè al denaro, ma vi è pure una buona ragione per sperare; innanzitutto le razze che hanno costruito il mondo attuale non sono estinte […] durante lunghi secoli oscuri, il nostro sangue è stato versato ovunque per la difesa della cristianità [4, p. 296] «È indispensabile fare una scelta nella massa degli uomini civilizzati; sappiamo che la selezione naturale da tempo non adempie più al suo compito perché molti individui inferiori sono stati salvati dagli sforzi dell’igiene e della medicina; ma la loro moltiplicazione è riuscita dannosa alla razza.» [4, p. 315]

La soluzione ai problemi umani, secondo Carrel, non può che venire da una certa eugenetica, senza porre freni morali: «L’eugenetica è indispensabile alla perpetuazione di una razza scelta. È chiaro che una razza deve riprodurre i suoi elementi migliori. L’eugenetica potrà esercitare una grande influenza nel destino delle razze civili, per quanto non possa regolare la riproduzione umana come quella animale; ma forse diventerà possibile impedire la propagazione dei pazzi e dei deboli di mente.» [4, p. 318] «La società moderna deve migliorare la razza umana con tutti i mezzi possibili. […] Se l’eugenica potesse creare una aristocrazia biologica ereditaria, segnerebbe una tappa importante nella soluzione dei grandi problemi dell’umanità» [4, p. 321]

Questa eugenetica, come viene chiaramente enunciato, non esclude l’eliminazione fisica, senza alcuno scrupolo, degli indesiderati: «La longevità è desiderabile solo se prolunga la giovinezza, non la vecchiaia. […] Perché prolungare la vita a persone infelici, egoiste, stupide, inutili? [4, p. 196] «Le nazioni civili stanno compiendo inutili sforzi peer la conservazione di esseri inutili e nocivi, e così gli anormali impediscono il progresso dei normali. Dobbiamo affrontare con coraggio questo problema. […] La punizione dei criminali meno dannosi colla fustigazione, o con qualche sistema più scientifico, seguita da un breve soggiorno all’ospedale, basterebbe probabilmente ad assicurare l’ordine; quanto agli altri, che hanno ucciso, o rubato a mano armata, o rapito bambini, derubato i poveri, che hanno gravemente ingannato la fiducia del pubblico, una dolce morte con i gas risolverebbe il problema in modo umano ed economico; e lo stesso sistema non si potrebbe usare per i pazzi criminali? Non bisogna esitare ad agire nel riordinamento della società moderna avendo di mira solo l’individuo sano: i sistemi filosofici e i pregiudizi sentimentali debbono scomparire di fronte a questa necessità. Innanzi tutto deve stare lo sviluppo della personalità umana che dovrebbe essere il bene supremo della civiltà.» [4, pp. 337-338]

Ciò che appare sconcertante in Carrel, ed ancor più nei suoi adulatori, è il suo incessante richiamo alla preghiera, al misticismo (ed allo stesso tempo convalida miracoli, chiaroveggenza e telepatia) «La Chiesa Cattolica e Romana, nella sua profonda conoscenza della psicologia umana, ha posto le attività morali ben più in alto di quelle intellettuali.» [4, p. 144] «La mistica cristiana esprime la forma più elevata dell’attività religiosa.» [4, p. 149] «La prevalenza della materia, l’utilitarismo, dogmi della religione industriale, hanno condotto alla abolizione della cultura intellettuale, della bellezza e della morale quali erano comprese dalle nazioni cristiane, madri della scienza moderna. […] il senso morale […] l’ambiente moderno lo ignora nel modo più assoluto.» [4, p. 166]

Quale squallore: un così abietto Carrel che si autoincensa quale custode del senso morale! Certo, nel 1935 poteva ben scrivere cose che avrebbero avuto un successo travolgente in un ben affermato clima politico, ma non dobbiamo cadere nella trappola di crederlo un opportunista, od uno che segue le mode. Le sue idee rimasero sostanzialmente invariate negli anni seguenti, nonostante il diverso corso degli eventi; non a caso un suo importante volume postumo (curato dalla vedova) ricalca gli stessi concetti (sia pure sostituendo le camere a gas con la segregazione sociale): «La salvezza della nostra civiltà non richiede solamente la procreazione di un numero sufficiente di figli, ma di figli qualitativamente buoni. […] Né la reciproca attrazione sessuale e nemmeno l’amore sono una ragione sufficiente per giustificare da soli un matrimonio. È necessario che all’attrazione sessuale o all’amore si aggiunga una buona ereditarietà. […] Infatti, la legge di propagazione della vita comanda agli uni di avere dei figli e agli altri di non averne affatto. […] Sarebbe una saggia misura da parte del governo istituire l’albero genealogico per ogni bambino e tenerne conto nell’assegnazione dei sussidi famigliari.» [5, pp. 133-134]

Con sconcerto, nell’introduzione all’edizione italiana di questo volume postumo, troviamo scritto, per mano di Franco Cardini, che «il best seller di Carrel, scritto nel ’35, è un inequivocabile atto d’accusa contro il progressismo meccanico e tecnologico che aveva fatto dimenticare le esigenze spirituali, contro il materialismo che aveva fatto dimenticare come vita religiosa e istanze scientifiche avrebbero dovuto andare di pari passo…». [5, p. 7]

A leggere che il culto della razza, l’eliminazione degli esseri inferiori e le camere a gas siano i frutti della ‘vita religiosa’ e delle ‘esigenze spirituali’ c’è indubbiamente ben da temere per il futuro di una umanità governata da uomini di cotanto livello morale!

 

 

[1] http://pikaia.eu/Perche-non-rispondiamo-alle-provocazioni/

[2] Darwin: L’origine dell’uomo e la selezione sessuale. Newton Compton, 1994.

[3] Francesco Agnoli: Scienziati dunque credenti. Cantagalli, 2012.

[4] Alexis Carrel: L’uomo questo sconosciuto. Bompiani, 1936 (Edizione originale, 1935).

[5] Alexis Carrel: Riflessioni sulla condotta della vita. Cantagalli, 2004 (Edizione originale, 1950).