Le mutande dello stallone osceno

di Francesco D’Alpa 

 

Il fattaccio prende corpo il 17 luglio 2002. Al mattino, a Catania, in piazza Vittorio Emanuele (altrimenti chiamata dai locali piazza Umberto), operai del comune sono impegnati in lavori di abbellimento e pulizia, in previsione della processione serale della Madonna del Carmine; ma c’è chi li vede anche trafficare sulla statua bronzea del cavallo ferito, opera dello scultore Francesco Messina, che da tempo, con gli occhi atterriti, la mandibola deformata in una espressione di dolore, riverso sul dorso e con le gambe scomposte, esibisce senza pudori i suoi vistosi genitali. Statua contestata, invero, proprio per tale motivo, ma lì collocata recentemente per precisa scelta artistica dalle autorità Comunali. “O è uno scherzo, o è roba da talebani”, dichiara indignato l’assessore alla cultura, dissociandosi, e negando alcun convolgimento del Comune; ed aggiunge: “L’arte non si censura e non c’entra nulla con il pudore. Per primi i santi si gloriano dell’arte”. Fra l’altro, Francesco Messina non è certo un artista blasfemo: ha lavorato per quattro papi e realizzato le statue della via crucis per il santuario di Padre Pio a Pietrelcina.

Certo non si è trattato di un lavoro da poco, e meno che meno improvvisato. I mutandoni sono realizzati in lamiera e saldamente fissati sul ventre del cavallo, così come nella stessa giornata erano stati saldati in terra dei grandi portavasi in ferro, per evitare il posteggio delle auto sui marciapiedi.

I commenti non si fanno attendere. In molti obiettano che non era il caso: non è stato forse Dio a creare il cavallo con i suoi attributi? E non sono proprio questi attributi a consentire alla vita di non estinguersi? O forse gli operai si sono sbagliati, giacchè i mutandoni erano stati preparati per nascondere il volto oscenamente sofferente del cavallo, che avrebbe turbato l’allegria della festa?  E se la Lega antivivisezionista citasse il comnune per maltrattamenti all’animale?

L’unca cosa certa, al momento, è che la città si è coperta di un ridicolo, che sarà difficile cancellare. E poi, a ben vedere, davanti a quella statua è gia passata la processione di sant’Agata, che ha dovuto dunque assistere inerme all’invereconda esibizione, così come da secoli patisce l’ostentazione dei voluminosi testicoli del Liotru, l’elefante in pietra che domina la piazza del Duomo catanese, e che della citta è simbolo.

Il bello è che era stata proprio una giunta di centro-destra (ampiamente compiacente nei confronti della curia locale) a collocare la statua in quella piazza, spostandola da quella del Castello Ursino, perchè in stridente contrasto stilistico con il maniero medievale. E nell’immediato proprio l’attuale giunta di centro-destra si dissocia clamorosamente dal misfatto: il sindaco Scapagnini evoca la grande tradizione culturale, umanistica e filosofica della città; promette una approfondita indagine; e preannuncia una denuncia contro ignoti per danneggiamento e deturpazione di monumento. Ma in molti sospettano che l’operazione sia stata attuata non senza il placet dell’assessore alle Manutenzioni, e senza obiezioni da parte dei vigili urbani che sorvegliavano la piazza.

Certo è che l’operazione era stata palesemente preparata da tempo, e che con la stessa destrezza della ‘vestizione’, la notte successiva alla processione le mutande vengono prontamente rimosse.

Riso, sdegno, presa di distanza? I pensieri dei catanesi a questo punto sono tanti, pro e contro l’opera, pro e contro l’anonimo censore, bacchetone o goliarda che sia. Il ridicolo giunge al parossismo quando i repondabili della Multiservizi del Comune sostengono che “possa essere stato lo stesso palafreno a coprirsi i doviziosi e inverecondi didimi per evitare l’immane giramento. La ragione del tourbillon sarebbe la crescente intolleranza del destriero alla nu0va collocazione: dalla splendida piazza del Castello Ursino al rumoroso parcheggio di Piazza Umberto”.

E se fosse stata la chiesa? Il comune precisa di non avere ricevuto alcuna richiesta in tal senso. Ed il parroco interessato dichiara di cadere dalle nuvole; che “sono cose ridicole di cui mi da fastidio anche parlare”; e che lui certo non si scandalizza “per cose che sono nell’ordine della natura”.

E se la responsabiltà fosse di quei commercianti della piazza, che giudicano l’opera una “oscenità che turba mamme e bambini”?

Fatta sta che, passato il giorno del ridicolo, in molti cominciano presto a stigmatizzare quell’eccesso di zelo censorio, o meglio se la ridono per quella patente di “imbecillità” (parola di sindaco) che grava sull’autore del misfatto; ed i discorsi sulla piazza ora vertono anche sull’opportunità di imbraghettare cani e gatti in libera uscita.

Intanto il responsabile viene trovato, e candidamente si autoaccusa: è proprio un capo manutenzioni del comune. Pur non avendone alcun titolo si era avvalso di due operai per compiere quanto aveva preparato da tempo: infedele ai suoi compiti, ma più che fedele alla madonna. Dovrà ora risponderne, minaccia l’assessore. Luomo dei mutandoni si dichiara tuttavia pentito della sua ‘debolezza’, della tassellatura cui ha dovuto ricorrere “per non deturpare il cavallo col fuoco della saldatura”; e si appella alla comprensione altrui, avendo agito in nome della purezza dei bimbi e nel rispetto delle vecchiette che passeggiano in piazza. Certo gli pesa l’essere stato definito ‘un imbecille’ dal suo sindaco; ma questi (da buon credente, comprensivo in nome della comune fede) si guarderà bene dall’adottare una qualunque sanzione disciplinare contro il suo sottoposto, che non patirà dunque alcuna pena, se non la pubblica memoria di quell’aggettivo infamante.

Prima di cadere nell’oblio, la vicenda ha una piccola coda: la Catania Multiservizi chiede di potere “adottare lo stallone” al fine di promuoverne l’immagine, quale traino per il turismo, con una “mirata attività promozionale” favorita dall’inatteso clamore mediatico sulla vicenda, ed in considerazione della “particolare curiosità che induce la peculiare posizione del cavallo”; e propone la concessione in esclusiva per dieci anni  dei “diritti di uso commerciale, promozionale, pubblicitario, e quanto connesso, ivi compresa la vendita del relativo materiale”. Quasi parafrasando involontariamente l’azzeccata frase che campeggiava qualche giorno prima su di una vignetta del principale giornale locale “A caval dotato, non si guarda in bocca”.

Nota: le citazioni sono tratte dal quotidiano ‘La Sicilia’ (dal 17 al 23 luglio 2002)

 

 


Le braghette degli angioletti

Fra gli epigoni dei braghettoni della Cappella Sistina, l’umorismo siciliano annovera le mutandine in raso celeste che dal 1983 (per volontà dell’allora parroco, spalleggiato dagli immancabili bigotti e bigotte del paese, e con l’avallo del vescovo locale) coprono le nudità dei quattro angioletti che ornano l’altare barocco della Chiesa Madre di Calatabiano (CT). A nulla valsero allora le proteste di chi si appellava alla purezza dell’arte, o che in provocatoria contropartita proponeva di comprare chilometri di stoffe per coprire tutte le nudità dei Musei vaticani. Con inatteso beneficio per il turismo locale, i putti in mutande conobbero ben presto grande popolarità; fu necessasrio collocare opportuni cartelli segnaletici per giornalisti, fotografi e curiosi; ed un abile pasticcere locale ebbe il felice intuito di confezionare angeli in mutande, fatti di pasta reale, mandorle e zucchero, cinti dall’immancabile slip di stoffa celeste; che andarono a ruba.

Nel tempo non sono mancati gli appelli per togliere quell’inutile indumento, quanto meno per conoscere finalmente quale sia il sesso degli angeli.