Turismo religioso: il volto edonistico della fede
di Francesco D’Alpa Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Pubblicato su L'ATEO, numero 3/2017
Il pellegrinaggio viene tradizionalmente definito come un viaggio, al di fuori del contesto lavorativo e domestico abituale, verso specifici luoghi di culto, stabiliti e riconosciuti da una delle maggiori religioni. Nel cristianesimo, gli itinerari più praticati in passato erano i ‘Cammini di Santiago’, con destinazione Santiago di Compostela, località spagnola nella quale all’inizio del IX secolo il vescovo galiziano Teodomiro ed il Re delle Asturie Alfonso avrebbero scoperto in un bosco lungo una strada romana la tomba dell'Apostolo Giacomo, e dove un secolo dopo arrivò il primo pellegrino europeo conosciuto, Gotescalco, vescovo di Le Puy. Il secondo più importante itinerario erano le ‘Vie Francigene’, percorse dai pellegrini europei che volevano raggiungere Roma sull’esempio di Sigerico, arcivescovo di Canterbury, che nel 990 si era recato a Roma per ricevere dal papa il pallio vescovile.
Storicamente in tutte le religioni, ma in particolare nel cristianesimo, il pellegrino è mosso da un intento di purificazione, o penitenza, o dal desiderio di una guarigione. Il suo itinerario è popolato di luoghi ed oggetti sacri (santuari, immagini, cimeli, oggetti liturgici, acque curative, percorsi rituali). Ma nel Novecento, ed ancor più in questi ultimi decenni, l’autentico pellegrinaggio ha ceduto progressivamente il passo al cosiddetto turismo religioso, di fatto un viaggio mondano, svuotato in gran parte di significato religioso, per il quale il raggiungimento della meta ha quasi maggior valore dell’esperienza spirituale.
Di fatto, nella società contemporanea è pressoché impossibile distinguere il turismo religioso dal vero e proprio pellegrinaggio, o meglio da ciò che resta dei comportamenti tradizionali di pellegrinaggio. In linea di massima, si potrebbe affermare che le due cose hanno in comune solo il ‘viaggiare’ verso luoghi particolarmente carichi di significato (culturale o simbolico, o entrambe le cose).
La caratteristica essenziale del turismo religioso è dunque la sua meta: un luogo (un santuario, un convento, un sito apparizionario, etc.) a connotazione religiosa, raggiunto a motivo di una scelta non strettamente religiosa, ma piuttosto culturale, spirituale, sociale, che in un certo senso secolarizza le mete del pellegrinaggio tradizionale, affiancando loro le destinazioni più recenti.
Attualmente, delle tre mete classiche del pellegrinaggio cristiano (Santiago di Compostela, Terrasanta, Roma) solo la prima ha mantenuto parte della sua originaria codifica, ed ha resistito più di altre destinazioni ad una trasformazione in semplice percorso di turismo religioso; cosa non avvenuta per la Terrasanta ed ancor più per Roma, destinazione verso la quale convergono in modo generalmente del tutto irrituale masse di individui per nulla definibili come pellegrini (se non con debole motivazione, ad esempio negli anni giubilari) che utilizzano tutte le risorse (di mobilità, servizi, sicurezza) del mercato turistico, in particolare i pacchetti pre-definiti dei tour-operator, la cui operatività è massima in occasione dei grandi eventi, programmati a ben calcolata cadenza.
I numeri ben testimoniano la rilevanza sociale del fenomeno. La ricettività alberghiera ed extra-alberghiera della capitale del cristianesimo è stimata in oltre 200.00o posti letto; ma il sommerso comprenderebbe almeno altri 100.000 posti letto, in gran parte gestiti da istituzioni religiose (secondo gli analisti, questa ultima ricettività sarebbe quella più strettamente legata alla dimensione di visita, e dunque al pellegrinaggio vero e proprio, a differenza della maggioranza del turismo religioso, senza alcuna precisa motivazione spirituale o voglia di cambiamento esistenziale).
È interessante sottolineare come, inversamente, dal punto di vista economico, il ‘vero’ pellegrinaggio (ad esempio lungo il sentiero di Compostela o la via franchigena), per quanto incoraggiato da costosi progetti anche su base europea, non sia per nulla competitivo e dunque interessi ben poco gli operatori del settore.
Nelle società secolarizzate il pellegrino segue un percorso di tipo culturale (standardizzato e massificato, come tutti i prodotti turistici di mercato), che ha solo deboli legami con i criteri religiosi all’origine dei pellegrinaggi spirituali. L’esperienza mistica interiore è stata pressoché del tutto soppiantata dall’abitudine al godimento esteriore, per lo più condiviso in comitive ben organizzate: l’arricchimento spirituale è stato sostituito dall’inevitabile accumulo di foto, filmini, souvenir.
Gli itinerari tradizionali della fede sono in buona parte sostituiti dal raggiungimento di mete alla moda, quali Medjugorje, o sede di eventi estemporanei (elezione papale, giubilei, giornate mondiali della gioventù).
Pellegrinaggio e viaggio turistico hanno comunque vari elementi in comune: fra questi, il distacco dalla routinarietà della vita quotidiana ed una certa codificazione delle pratiche e dei rituali, che ne rafforzano il significato ed il vissuto. Il pellegrino è spinto dal desiderio di dare un senso alla propria esistenza partecipando ad una cerimonia di iniziazione che costituisce una pratica prescritta da quasi tutte le religioni; il turista religioso insegue le suggestioni religiose (o pseudo-religiose) del momento.
D’altra parte, la possibilità di fruire di pacchetti a basso prezzo rende spesso quello religioso una delle forme più appetibile di turismo. Ciò rende ancora più difficile distinguere fra i pellegrini autentici, spinti da motivazioni spirituali, e chi viaggia per motivi più banali come la curiosità, il piacere, il relax, e per i quali le destinazioni religiose rappresentano spesso solo una tappa del programma vacanze.
Come qualunque altra forma di turismo, quello religioso è caratterizzato da alcuni aspetti della domanda e dell’offerta: una concentrazione dei flussi verso determinate destinazioni; una standardizzazione della domanda e dell’offerta; un aumento ed una diversificazione delle strutture, dei servizi e delle attrazioni; un raffinamento dell’organizzazione turistica.
Un esempio paradigmatico di come il pellegrinaggio si sia trasformato (soprattutto negli ultimi decenni) in turismo religioso è proprio quello del “Cammino di Santiago”, uno dei pochi itinerari nei quali persistono gli elementi di un autentico contesto religioso cattolico, a forte carica evocativa, sebbene frammisti a presenze incongrue (strade, ristoranti, luoghi di svago e ristoro) che rendono quello verso Santiago di Compostela un viaggio come tanti, a cavallo fra la pratica sportiva e l’escursionismo naturalistico; dell’antico spirito del ‘viator’ religioso sopravvive di fatto quasi solo il fascino dell’incontro con una realtà diversa da quella abituale, atta ad interrompere la routine quotidiana. Ma si tratta di un trend diffuso; i luoghi canonici della fede costituiscono oramai quasi una destinazione come tante altre, con una specifica caratteristica attrattiva, ma di nessuna particolare preminenza: un luogo fra i tanti che ‘occorre’ visitare, al di là di ogni riferimento religioso. Questa idea del ‘turismo religioso’ sembra ovviamente andare stretta al clero, in quando dissacratoria dell’autentico pellegrinaggio, che viene troppo strettamente coniugato agli aspetti commerciali, edonistici ed estetici del ‘viaggio’; e ciò nonostante circa il 60-70 per cento del turismo religioso venga in realtà programmato proprio da persone o da organismi di appartenenza ecclesiale.
Venendo ai dati, le cifre del turismo religioso sono rilevanti. Secondo la WTO (World Trade Organization), ogni anno circa 330 milioni di “viaggiatori religiosi” generano un fatturato di 18 miliardi di dollari. Le mete preferite sono nell’ordine: Lourdes (Francia), Fatima (Portogallo), Santiago de Compostela (Spagna), Czestochowa (Polonia), Medjugorje (Bosnia-Erzegovina), Avila (Spagna), Lisieux (Francia), Montserrat (Spagna) .
In Italia il giro d’affari è di circa 4,5 milioni di dollari, e le maggiori destinazioni sono (secondo dati del 2012): Roma (Basilica di San Pietro, con 7.000.000 di visitatori), S. Giovanni Rotondo (Basilica di San Pio da Pietralcina, 6.000.000), Assisi (Basilica di San Francesco, 5.500.000), Loreto (Santuario della Madonna di Loreto, 4.500.000), Pompei (Santuario della Madonna del Rosario, 4.200.000), Padova (Basilica di Sant’Antonio, 4.000.000), Siracusa (Santuario della Madonna delle Lacrime, 3.500.000), Monte Berico (Santuario della Madonna di Monte Berico, 2.500.000), Ravenna (Basilica di San Vitale e Sant’Apollinare, 2.300.000), Bologna (Santuario della Madonna di San Luca, 900.000).
Secondo l’Istituto Nazionale Ricerche Turistiche (ISNART) in Italia il turismo religioso rappresenta circa l’1,5% sul totale dei flussi turistici (2% sulla domanda internazionale; 1,1% di quella italiana); per un totale di 5,6 milioni di presenze (3,3 milioni straniere e 2,3 milioni italiane). Tre quarti dei turisti stranieri provengono dall’Europa. Il gruppo più consistente ha un’età compresa fra i 30 e i 50 anni. Quale principale ragione di scelta del soggiorno circa il 72 % dichiara una motivazione religiosa, il 37% un desiderio di partecipare ad eventi di natura spirituale, il 42% ha una motivazione culturale riguardo al patrimonio artistico e monumentale. Il turista tipico sceglie preferibilmente la bassa stagione e spende mediamente 45-60 euro al giorno.
Nel 2014 (anno della canonizzazione di Giovanni Paolo II e di Giovanni XXIII), il valore complessivo del turismo religioso in Italia è stato stimato in circa 5 miliardi di euro
Non si tratta in ogni caso di un fenomeno economico precipuo del cristianesimo. In Arabia Saudita, prima dello sviluppo imponente dell'industria petrolifera (dopo la seconda guerra mondiale) il pellegrinaggio alla Mecca era una delle più importanti risorse economiche (oltre ad avere un forte impatto su commercio, scambi culturali, integrazione politica, diffusione di malattie)
Varie indagini hanno delineato il target tipico del turista religioso: maggiormente di sesso femminile, adulto o anziano, con scolarizzazione medio-bassa, a basso reddito. Dal punto di vista della motivazione si tratta di persone in cerca di forti emozioni, desiderose di integrarsi in un gruppo a forte connotazione ideologica, propense a lasciarsi guidare da un leader carismatico ed autorevole attraverso una esperienza religiosa ‘liberante’. La specifica meta conta per loro meno delle modalità del viaggio e del rapporto con la realtà locale (persone, gruppi, esperienze testimoniali, ecc) e della curiosità per il ‘nuovo’ (tradizioni locali, culture, costumi, ecc.). I diversi ‘eventi’ ai quali possono assistere o partecipare agiscono da catalizzatori, incrementando l’attrattiva dei luoghi.
Spesso non è agevole differenziare in questa popolazione il pellegrino dal turista religioso, e le due categorie risultano talora intercambiabili; ma è piuttosto evidente come nella nostra epoca la motivazione religiosa vada sempre più eclissandosi. Le grandi masse di giovani che vanno radunandosi ad esempio nel corso di grandi manifestazioni quali le ‘Giornate mondiali della gioventù’ promosse da Papa Giovanni Paolo II non debbono trarre in inganno sul loro valore religioso, giacché riflettono una generale propensione dei giovani ad aggregarsi in occasione di una multiforme varietà di eventi.