Medjugorje e la ‘Gospa’: un business provvidenziale

di Francesco D’Alpa   Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Pubblicato su L'ATEO, numero 3/2017

 

Medjugorje rappresenta un caso limite nel quadro generale del mercato del sacro, ed in particolare di un turismo religioso quanto mai lontano dal concetto di pellegrinaggio. Milioni di visitatori (un trend in decisa crescita) l’hanno resa una delle primissime destinazioni del turismo religioso mondiale, nonostante la locale chiesa di S. Giacomo non sia stata elevata alla dignità di santuario, non vi sia mai stato da parte della chiesa locale o romana alcun riconoscimento delle presunte apparizioni mariane, e siano stati perfino formalmente vietati i pellegrinaggi ufficiali.

La ‘Gospa economy’ è in continua crescita, e se ne può avere un facile riscontro visitando i luoghi interessati dall’incessante flusso turistico, o più semplicemente navigando sul WEB. Eppure, a fronte delle centinaia di pubblicazioni sulle presunte apparizioni e sui presunti veggenti, è difficile reperire informazioni di prima mano sull’indotto apparizionario.

Colmando una evidente lacuna, gli aspetti economici del turismo locale (relativamente agli anni 1981-2013) sono stati attentamente esaminati in una tesi di dottorato, discussa nel 2014 alla Facoltà di Scienze sociali dell’Università “Hercegovina”, con sede proprio a Medjugorje, dal dr. Vencel Čuljak, uno studioso locale il cui intento peraltro non era affatto quello di criticare la mercificazione del sacro, ma piuttosto di contribuire ad una ottimizzazione della gestione del ‘fenomeno’ apparizionario, suggerendo alle autorità come meglio capitalizzare le attrattive del luogo, definendo un codice di condotta, posizionando più efficacemente questa destinazione all’interno della offerta turistica complessiva bosniaca. Secondo Čuljak, a Medjugorje non vi è al momento alcuna coordinata attività di marketing, nessuna precisa politica per incrementare e regolamentare il turismo religioso, non ci sono nuovi prodotti turistici, attrazioni, siti culturali; l’offerta è complessivamente povera.

Secondo le stime di questo studioso, negli anni 1981-2013 Medjugorje è stata visitata da oltre 28 milioni di pellegrini e turisti (di cui 21 milioni stranieri), con 65 milioni di pernottamenti ed un ricavo complessivo di 2,85 miliardi di dollari; la chiesa locale ha incassato direttamente circa 290 milioni di euro più varie forme di sovvenzione pubblica. La spesa media giornaliera in loco è stata di 43 euro a persona. Di queste entrate totali solo il 32 % è fiscalmente documentato. Il giro d’affari complessivo legato a Medjugorje (incluse le spese di viaggio), in poco più di trent’anni, è stato di circa 11,6 miliardi di euro.

All’epoca di redazione di questa tesi, a fronte di 4600 abitanti effettivi (nel giugno 1981 erano solo 700), Medjugorje contava ben 580 aziende con circa 1500 dipendenti; il 59% di questi lavorava del tutto illegalmente, ed i datori di lavoro non pagavano i contributi né le imposte sul reddito. Il 57% delle unità abitative e dei negozi era stato costruito senza alcuna licenza.

A Medjugorje la stragrande maggioranza dei pellegrini e visitatori non viene registrata, e solo una minima parte delle previste tasse di soggiorno (poco più di un ventesimo) viene incassato dalla municipalità.

L’aspetto che forse più colpisce fra i dati riportati è dunque l’entità del sommerso: un guadagno finito illegalmente nelle tasche dei privati, ma anche in quelle di istituzioni ecclesiastiche, banche, partiti politici. Questo denaro proveniente dalla ‘zona grigia’ arricchisce i proprietari di ristoranti, pensioni, appartamenti, ostelli, negozi, bancarelle di souvenir, agenzia turistiche, mezzi di trasporto. Le autorità si dimostrano comunque piuttosto compiacenti, nel comune interesse. Dalle condizioni di mercato non organizzato di Medjugorje deriva conseguentemente un totale caos economico, paesaggistico, logistico, fiscale, di cui tutti sono a conoscenza, ma di cui ben pochi si preoccupano, e che inevitabilmente favorisce il crimine e la corruzione.

È ben noto come gli abitanti di Medjugorje si siano arricchiti grazie alla ‘Gospa’: non più contadini o pastori, ma albergatori, ristoratori e commercianti; un tempo raccoglievano foglie di tabacco o pascolavano pecore, ora accumulano sonanti euro. Fra tutti primeggiano le famiglie dei veggenti, che hanno beneficiato maggiormente delle proprie imposture. Ciascuno di loro si è trasformato in imprenditore e pubblicista di sé stesso, abile a mettere sul mercato nel momento più adatto un nuovo prodotto: un messaggio, un segreto, una statuina fosforescente, un’estasi; ognuno ha una propria attività economica fiorente: pensione, albergo, agenzia turistica.

A Medjugorje le bancarelle colme di souvenir sono ubiquitarie, le auto di grossa cilindrata hanno del tutto soppiantato i mezzi agricoli. Il kitsch è imperante: nei ristoranti e bar; nelle centinaia di alberghi spesso dotati di tutti gli usuali comfort, di sale per la preghiera come di centri benessere, con i quali soddisfare insieme i bisogni dello spirito e quelli del corpo.

Le apparizioni hanno modificato profondamente la vita della popolazione locale. Prima, vi risiedevano e lavoravano (in agricoltura e allevamento) soprattutto le donne, mentre gli uomini andavano a lavorare in città più grandi o all’estero; negli ultimi decenni gli uomini si sono convertiti (al di fuori di qualsiasi pianificazione) al commercio ed alla imprenditoria turistica.

Fin dai primi anni, col crescere del numero dei visitatori, gli abitanti di Medjugorje si sono dedicati alla vendita di articoli religiosi, generalmente di cattiva qualità e basso costo (rosari, statue, magliette, borse da viaggio e cartoline), incontrando inizialmente una certa ostilità da parte delle autorità religiose. Ma durante la guerra si è registrato (senza alcuna obiezione da parte delle autorità) anche un certo commercio di simboli al passato delle milizie ustascia, svastiche naziste e croci di ferro.

La trasformazione di Medjugorje da villaggio a piccola città è iniziata alla fine degli anni ottanta, allorché gli abitanti hanno iniziato a costruire piccole case ad un piano in aree non coltivate, preservando al massimo il terreno fertile.  Successivamente sono apparse residenze a più piani, preferibilmente nella zona più vicina alla chiesa parrocchiale, determinandone un certo degrado a causa della congestione di edifici. Questo sviluppo edilizio è avvenuto in modo disordinato, senza alcun effettivo controllo da parte delle autorità, e senza che venissero realizzate le opportune infrastrutture, come ad esempio una rete fognaria.

Pochi dati sono sufficienti a dare un’idea della trasformazione edilizia ed economica cui è andata oggetto questa area urbana. Nel comune di Citluk (capoluogo della regione cui appartiene Medjugorje) nel 2010 erano censite solo tre strutture ricettive (nel senso di alberghi, hotel o camere private). Nel 2015 il numero era salito ad una trentina (incluse case di vacanza per giovani, appartamenti, bungalow, case di campagna, ostelli della gioventù, rifugi di montagna). In effetti, fin dal 1995 le autorità locali avevano auspicato un incremento della quantità e qualità dell’offerta ricettiva, un ammodernamento complessivo della città e la messa in opera di attività organizzative sul modello di ogni moderna destinazione turistica.

I dati sulla ricettività turistica attuale di Medjugorje sono piuttosto incerti, anche a causa dell’abusivismo edilizio, dell’attività di operatori turistici non registrati e dell’economia sommersa. Nel 2010, si stimavano circa 15.000 posti letto: oltre il 95% in case private, circa 500 posti letto in quattro hotel di categoria elevata, 2000 posti letto in pensioni. Ma erano già presenti strutture di maggior peso: come un villaggio turistico edificato su 5 ettari, comprendente 13 bungalow, negozi di souvenir e di prodotti per la casa, un hotel, un ristorante, sale per congressi e matrimoni, una cappella, una piscina all'aperto.

Sempre nel 2010, Medjugorje contava: 30 ristoranti; 46 fra bar, pasticcerie e pizzerie; 12 minimarket; 196 negozi con souvenir e vari altri negozi. A ciò si aggiungevano: quattro campi di calcio, basket, pallamano; otto campi da tennis; un moderno centro sportivo ricreativo. Nel 2016 la ricettività complessiva era salita a circa 18.500 posti letto. Nel complesso, più della metà degli edifici di Medjugorje offre oggi camere per famiglie. Per quanto riguarda il rapporto residenti/ospiti, il confronto con le più gettonate località mariane è impressionante: Lourdes, a fronte di circa 14.000 abitanti, ha una capacità ricettiva di 25.000 posti letto; Fatima, con circa 10.000 abitanti, ha una capacità ricettiva di circa 15.000 posti letto.

Le ricerche condotte sul Web sono in grado di fornire informazioni più dettagliate. Sul sito Booking.com, ad esempio, nel 2016 venivano elencate 53 pensioni, 54 strutture alberghiere, 11 suite, 2 resort. Nella maggior parte dei casi erano previsti il parcheggio gratuito, la connessione Wi-Fi gratuita, un ristorante (la cui concentrazione a Medjugorje è 5 volte più alta che a Sarajevo), un servizio navetta per l'aeroporto e un quotidiano; e non mancava l’offerta di servizi per i disabili. Alcune strutture offrivano servizi aggiuntivi: una piscina all'aperto, un centro fitness, un centro benessere o termale. A completamento di ciò, l’offerta turistica di Medjugorje include quasi sempre escursioni in note località turistiche viciniori come Mostar, Dubrovnik e Spalato.

A potenziamento dell’attività turistica, Medjugorje ed il circondario si avvalgono oggi di una stazione radio, di uffici turistici, di un folto stuolo di collaboratori distribuiti in tutto il mondo. L'offerta turistica è calibrata per ogni diversa durata del pellegrinaggio, e non conosce crisi di stagionalità. A differenza di qualunque altro sito turistico le apparizioni sono infatti spalmate nel corso dell’intero anno; lo spettacolo è garantito anche in bassa stagione, con soddisfazione dei turisti meno propensi a spendere. Sul sito del santuario è possibile ottenere tutte le informazioni sui trasporti e alloggio, e sulle attività spirituali e di preghiera della parrocchia.

Ricorrenti scandali come le accuse di stupro ed eresia che determinarono nel 2009 la cacciata del francescano Tomislav Vlasic, il ‘padre spirituale’ dei sei veggenti, non hanno per nulla scalfito la immagine di ‘rispettabilità’ e l’attrattiva del luogo agli occhi dei fedeli. Oltre 40 mila presunte apparizioni con i loro insulsi messaggi seriali (quanto di più contrario alle secolari ‘abitudini’ della Madonna) non ne hanno scalfito la credibilità a livello popolare, tanto più per effetto delle reticenze del Vaticano che comunque, da qualche tempo, sembra più interessato che in passato all’indotto apparizionario (la nomina di Mons. Hoser, arcivescovo di Varsavia-Praga, ad inviato speciale papale nella località bosniaca vorrà pur dire qualcosa). Messa costantemente in sottordine la questione (che pur dovrebbe interessare prioritariamente la Chiesa) se le apparizioni siano ‘autentiche’, da Roma ora ci si comincia ad interessare seriamente dei pellegrini e dei credenti nell’apparizione, dichiaratamente per salvaguardarne la fede, ma senza dubbio con un occhio particolare al business. La Madonna ‘postina’ (ligia ai comandi di quanti, veggenti o frati, gestiscono l’ufficio postale), che invia messaggi ad orari prestabiliti è un affare troppo grande per rinunciare a gestirlo in prima persona, ed è chiaro che di fatto la Chiesa ha non poco interesse a beneficiare dei cosiddetti ‘frutti spirituali” della credenza a Medjugorje e delle ‘gite’ organizzate verso questa destinazione. Non a caso gli oppositori del papa ritengono che il Vaticano abbia in progetto di trasformare la parrocchia di Medjugorje in un Santuario direttamente gestito.

Le recenti più che sensate accuse di monsignor Ratko Peric, vescovo di Mostar, secondo cui le apparizioni di Medjugorje non sarebbero ‘autentiche’ possono rappresentare un brutto colpo per quanti lucrano sulla ‘Gospa’. I francescani, in prima linea, sono in allarme, ma più ancora i Tour operator e le agenzie turistiche. Ma l’industria di Medjugorje, da tempo ben rodata, al momento ha ben poco da temere: i francescani si occupano della regia, i veggenti si comportano come impiegati zelanti, la Madonna postina timbra il cartellino ad orari precisi. Cosicché veggenti, albergatori, ristoratori e rivenditori possono tranquillamente continuare a lucrare sui messaggi infantili e sulla paccottiglia cinese.

 


Una caratteristica stupefacente dei viaggi organizzati a Medjugorje sono le apparizioni calendarizzate, e come tali previste nei volantini delle agenzie turistiche. Dunque un appuntamento con il ‘miracolo’, con una spesa generalmente intorno ai 300 euro. Un importo fortemente concorrenziale, perfino rispetto ad altre località mariane low-cost, dove invece i miracoli sono centellinati o neanche si verificano più. Naturalmente non si tratta, quasi sempre, di un tour atto a soddisfare le sole motivazioni di fede. Il programma comprende solitamente: viaggio con pullman gran turismo, albergo 3 stelle, pasti, presenza di un accompagnatore spirituale, ma soprattutto un possibile incontro con i veggenti. Sempre possibili delle escursioni facoltative in celebrate località turistiche viciniori.

Le date più gettonate per il viaggio sono quelle a cavallo del 2 di ogni mese, giorno della apparizione-esibizione della veggente Mirjana (sono già in calendario su vari depliant perfino quelle del 2018, festeggiamenti di Capodanno inclusi).

Dal punto di vista del marketing, tutto ben calcolato, a profitto di un turismo low-cost. con basse pretese. Dal punto di vista della fede, è ben chiaro come ognuno sia libero di spendere come vuole il proprio denaro; ma non dovrebbe passare sotto silenzio quanto giochi in tutto ciò l’abuso della credulità popolare ed in molti casi una vera e propria circonvenzione di persone incapaci.

 


 

Ben più che nel caso di Medjugorje,un clamoroso esempio di trasformazione del pellegrinaggio in ‘turismo religioso” ci viene offerto oggi dall’Islam; con una fondamentale differenza, ovvero l’obbligatorietà del viaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.

I numeri parlano chiaro: su di un totale di 1,3 miliardi di musumani, oltre 2 milioni giungono annualmente alla Mecca nei pochi giorni del pellegrinaggio “Hajj” (compiuto tra il settimo e il dodicesimo giorno del mese lunare di Dhu al-Hijja) molti altri nel restante corso dell’anno, durante il pellegrinaggio “al Imrah” (non sostitutivo peraltro di quello principale, altamente ritualizzato.

Le potenzialità turistiche di questi pellegrinaggi sono state ben valutate dal governo di Riad, che avviato da una decina di anni ha una imponente trasformazione della Mecca, con l’obiettivo di aumentarne la capacità ricettiva fino ad oltre 17 milioni di presenze, obiettivo facilmente raaggiungibile, una vota potenziale le strutture d’accoglienza e mobilità, soprattutto in considerazione dell’eseguità del numero dei pellegrini attuaii rispetto alla intera massa del credenti teoricamente soggetti all’obbligo del pellegrinaggio.

Non si è dunque badato a spese, nè si è andato tanto per il sottile. Intere alture son state rase al suolo nel circondario della Mecca per edificarvi grattacieli (la futuristica torre “orologio”, che imita in grande il ‘Big Ben’ segna l’ora della Mecca), enormi edifici residenziali (le “Torri al Beit” hanno ben 15 mila appartamenti) ville, centri commerciali; un intero quartiere della Mecca è stato demolito per far posto a ristoranti ea alberghi a cinque stelle. Oltre a circa 300 mila camere, i pellegrini possono usufruire di sterminate tendopoli.

Nel contempo sono state realizzate tutte le infrastrutture indispensabili per un turismo di massa: centri commerciali, autostrade, ponti, ferrovie (una di queste, della lunghezza di 267 chilometri, collega le città sante di Mecca e Medina), aeroporti, porti navali: senza alcun rispetto dell’ambiente, e nella massima incuranza dei siti storici.

Le entrate finanziarie per il governo saudita di fatto una holding privata) sono cospicue e si stima che possano raggiungere in pochi anni un importo pari a circa un terzo di quelle derivanti dal petrolio.

Nei paesi  a forte presenza musulmana crescono le attività collegate al pellegrinaggio: agenzie turistiche, pubblicistica, trasmissioni televisive.

Si stima che ogni pellegrino spenda per il pellegrinaggio Hajj da 2 a 4 mila dollari, ma le potenzialità economiche sono di gran lunga maggiori laddove si operi su più fronti: marketing, sponsorizzazioni, oggettistica, apertura agli investimenti internazionali, aumento dei visti di ingresso e del periodo consentito di soggiorno per i pellegrini provenienti da altre nazioni. Il tutto con una cresciuta imponente dei posti di lavoro (oltre 750.000 nel solo 2013). L’obiettivo dichiarato della Saudi Commission for Tourism and Antiquities (SCTA) è al momento attuale il turismo locale, ovvero trasformarlo, grazie ad un adeguamento delle strutture, da semplice settore a vera e propria industria, probabilmente con un occhio di riguardo verso i pellegrini-turisti abituali.

Con buona pace dell’antico esclusivo senso religioso!