Scientismo, rispetto a cosa?

di Francesco D’Alpa   Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

Pubblicato su L'ATEO 3/2014

 

Altri interventi di questa sezione dell’ATEO hanno parlato di ‘scientismo’ come caratteristica della ‘tecnica’ in contrapposizione alla scienza ‘pura’. Ma in prospettiva prettamente laico-atea, non si può passare in secondo piano una considerazione di tipo storico.

La polemica cosiddetta antiscientista è di fatto, alla sua origine, una polemica religiosa antiscientifica tout-court; che non a caso nasce in Francia, in pieno Ottocento, nel momento in cui la scienza ‘illuminista’ invade prepotentemente nuovi campi del sapere, in particolare quelli sottomessi alla teologia, nel lodevole (forse fin troppo enfatizzato) intento di individuare, affrontare e possibilmente risolvere tutti i bisogni dell’uomo. Di fronte ai continui successi dell’evidenza scientifica, la chiesa si ritrova quanto mai in affanno e mette in campo tutte le sue risorse nel tentativo di mantenere un primato culturale e tappare le falle che sempre più emergono entro le sue certezze. Basterà come esempio ricordare (sul finire di questo periodo storico) il caso dell’ermeneutica biblica, laddove il cattolicesimo cerca di difendersi dalla analisi modernista (di fatto ‘scientista’ nel metodo), seguendo tardivamente (e dunque concedendo qualcosa ai metodi della parte avversa) la strada tracciata da Galileo, affermando che le Sacre Scritture hanno un carattere specificamente religioso e non bisogna interpretare in senso letterale le sue narrazioni quando esse si riferiscono a fenomeni naturali.

Nel complesso la difesa si rivela ardua ed i predicatori preferiscono dunque ricorrere alla via più breve: lanciando ex-cattedra l’anatema anti-scientista, denigrando le altrui idee e l’altrui arroganza. La scienza, quasi incurante, procede comunque vincente, per la sua strada: poiché riflette un atteggiamento fondamentale dell’uomo, ovvero la tendenza al conoscere, il desiderio di spiegarsi convincentemente la realtà osservabile. Se fino ad ora non ha potuto proporsi pienamente come alternativa alle religioni (e in particolare ai contenuti rivelati del cristianesimo) ciò è accaduto in quanto per giungere a maturazione ha avuto bisogno del supporto di una molteplicità di acquisizioni culturali (matematica, logica, tecniche di lavorazione, etc…) delle quali invece la fede, basata su assunti arbitrari ed a priori, non aveva alcuna necessità. Ma da questo momento assume un ruolo centrale nel capire il mondo; che può essere riassunto, in estrema sintesi, nell’aforisma del fisiologo Claude Bernard: “La scienza siamo noi”.

Se dunque la scienza è l’uomo, allora la scienza ha necessariamente delle ripercussioni sull’uomo come tale: modifica il suo modo di concepire la realtà, svela aspetti del reale prima ignoti; il suo consolidarsi produce una fondamentale rivoluzione culturale, che riorganizza e reinterpreta tutti i filoni precedenti, superando l’approccio conoscitivo basato largamente sull’intuizione ed il senso comune; sostituendo una visione dell’universo fissa ed immutabile, con una interpretazione dinamica; ma soprattutto, e qui sta il passaggio fondamentale, tramite la scienza (come insieme di metodo e di dati, anche controintuitivi) l’uomo può acquisire una nuova cognizione di se stesso e della sua posizione nella natura, mettendo in crisi i precedenti modelli di riferimento, ed innanzitutto quello teologico ebraico-cristiano, fino a dare l’impressione di svuotare l’universo di ogni significato ‘umano’.

Ma nel momento in cui la scienza galileiana si fa essa stessa filosofia e chiave privilegiata di interpretazione della realtà, emergono prepotentemente le questioni di ordine ‘morale’. La scienza giunge ad essere considerata (dai positivisti) come la principale o anche l’unica fonte di conoscenze e l’unica sorgente di ‘valori’; e non potendo non interessarsi della sfera di ciò che consideriamo strettamente e profondamente ‘umano’ entra in conflitto con i ‘valori’ invece proposti dalle tradizioni culturali e dalle fedi in particolare, a cui pretende di sostituirsi. Questa subordinazione pressoché esclusiva, anche in senso filosofico, ai dati della scienze è in definitiva l’essenza dello scientismo, almeno per come caratterizzato originariamente, in accezione dispregiativa, dagli uomini di chiesa.

Mi sembra dunque importante precisare questo importante mutamento, in meno di due secoli, nei termini della polemica antiscientista: attualmente si discute essenzialmente dei rapporti fra scienza e scientismo, inteso nel senso di tecnica, ed in particolare di tecnica a servizio del potere (pensiamo ad esempio alle polemiche sulla manipolazione genetica in generale e sulle sue ricadute economiche in agricoltura); in origine, invece, la polemica squisitamente ed esplicitamente anti-scientista (esauriti certi argomenti cosmologici) ha riguardato la natura dell’uomo, ad esempio il superamento della interpretazione dualista (corpo-anima) in favore di un approccio ‘materialista’, con al centro il cervello e le sue funzioni. Anima si, anima no: quali funzioni attribuire al corpo e quali all’anima? La polemica è andata avanti a lungo, e poche ‘funzioni’ dell’anima si sono (fino ad ora) salvate. Appena mezzo secolo orsono Jacques Monod, uno dei padri della scoperta del DNA, è stato ad esempio accusato di scientismo per la sua proposta di abolire la morale nel senso tradizionale sostituendola con una “etica della conoscenza” basata esclusivamente sul “postulato dell’oggettività scientifica”[Il caso e la necessità, 1970]. Ed invece, alla prova dei fatti, l’espropriazione del presunto ‘non materiale’ è andata ben oltre: siamo già giunti ad una ‘neuro-etica’ (in parte condivisibile con gli animali ‘irrazionali’).

Sul metro della fede, impostazioni come quella di Monod, o la più recente ricerca sulla eventuale localizzazione della ‘coscienza’, vengono giudicate ancora come derive basate su pseudo-ideali e per questo aspramente contestate, in quanto mancherebbe in esse la volontà di integrare i dati della scienza entro una visione più ampia dell’uomo; che, manco a dirlo, non dovrebbe essere altra che quella della antropologia cattolica. Secondo le argomentazioni di parte avversa, lo scientismo dogmatico si arrogherebbe in modo arbitrario il nome di scienza, costituirebbe un serio pericolo per la scienza stessa, e sarebbe volto a manipolare a capriccio la natura e l’uomo (ma ogni teoria o conoscenza, incluse Filosofia e Teologia, può essere usata allo tesso modo).

Occorre invece fare chiarezza: una cosa è asservire strumentalmente la scienza (che di per sé è moralmente neutrale) ad una ideologia rendendola  ‘cattiva scienza’ (ad esempio lo ‘scientismo’ patologico sovietico alla Lysenko); un’altra cosa è utilizzare i dati della scienza per proporre ed ottenere una ri-teorizzazione della scienza stessa ed una reinterpretazione degli oggetti della sua ricerca (come avviene attualmente nel campo della genetica e delle neuroscienze).

La pietra di paragone (o di scandalo, per la religione) è comunque sempre e soprattutto il rapporto mente-corpo, che confligge con i temi più cari alla religione (ovvero il destino e la salvezza dell’anima). Oggi la scienza comprende sempre meglio (con tutte le inevitabili ricadute) qualcosa di ‘biologico’ su concetti come fedeltà, altruismo, aggressività, senso morale, religiosità? La religione obietta che lo scientismo materialista invade ambiti non di sua competenza. Lo ha sempre fatto e sempre lo farà, nel tentativo di salvare qualcosa del suo deposito culturale. Lo ha ampiamente fatto in passato: ma sono state sottratte all’anima molte delle sue facoltà: memoria, capacità di calcolo, ragionamento, percezione e quant’altro è oggi ‘banalmente’ spiegato dalla scienza. Era già successo in precedenza, riguardo a sopravvivenze culturali arcaiche: col demistificare quanto si attribuiva a sogni profetici, premonizioni, possessioni; ed a quant’altro sembrava appartenere ad una dimensione immateriale.