Risposta ad alcuni commenti su “Eclissi della religione ed insulti al Papa”

Premetto una piccola cronologia.
A commento di un dibattito tenutosi a Catania il 21 aprile 2009, due giorni dopo viene pubblicato sul quotidiano locale “La Sicilia” un articolo di Sergio Sciacca dal titolo ”La controversia sul papa: un filosofo ed un teologo a confronto. Eclissi di Dio e crisi apocalittica” . In esso vengono riassunte soprattutto le tesi di Pietro Barcellona, filosofo del di­ritto ed editorialista dello stesso giornale, il quale sostiene che “dichiararsi atei è cretinismo. La cultura che sostiene atteggiamenti simili è stupidamente statica, incapace di vibrazio­ni, chiusa in se stessa”. Perché, si chiede Barcellona, visto che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI dicono sostanzialmente le stesse cose (anche perché era principalmente Ratzinger a preparare i testi di Woityla), le parole del primo erano accolte con interesse, ed invece oggi tutti  i “progressisti ed europeisti, democratici e laici fanno a gara nel criticare il dic­tatum papale, imitati dalla bas­sa corte di giullari che sbeffeg­giano, irridono e tirano me­taforiche sassate”? Secondo  Barcellona la ragione sta nel fatto che “con il nuovo pa­pa la Chiesa ha intrapreso un cammino di rinnovamento, di dinamismo che va oltre il pia­no meramente sociale, oltre le proposizioni solidaristiche e si pone chiaramente gli obiet­tivi che sono propri della Fe­de. La Chiesa attuale non ridu­ce la fede a sociologia: vuole farsi conoscere, vuole fare riflettere sulla realtà dell’esi­stenza, che è fatta anche di dolori, ma consapevolmente assunti”. La Chiesa sarebbe osteggiata in quanto si propone di aiutare la società visto che “la scienza umana da sola non può superare i problemi del vivere contempora­neo. La tecnologia anche più spinta fallisce. Ne abbiamo un esempio sotto gli occhi: gli economisti hanno fallito, la formula che ave­vano inventato per assicurare la ricchezza a tutti a tasso zero, ha determinato milioni di disoccupati e il precipizio della povertà a tasso fame”. Per concludere “l’ateismo è stupido; l’unica alternativa è l’amore”.
Ovviamente,  nel dibattito pubblico non era prevista la presenza sul palco di alcun esponente della parte avversa alle tesi clericali, rappresentate in diversa misura dai due dialoganti su palco. Né l‘articolista sente di doverne fare cenno.

Nel tentativo di riequilibrare localmente il dibattito invio al giornale una lettera, sperando che non venga come sempre cestinata, e pubblico la stessa (con il titolo “Eclissi della religione ed insulti al Papa“ sul sito dell’UAAR, suscitanto un centinaio di commenti. Secondo taluni di questi, i miei giudizi sono fin troppo benevoli nei confronti della chiesa, e di Giovanni Paolo II in particolare. Così non è. E per dimostrare questo ritengo utile aggiungere subito qualcosa a quanto già scritto.

Per prima cosa, a qualcuno non è piaciuto il mio uso del termine “dolce pastore” per indicare Benedetto XVI. Definizione fuor di luogo, inventata? Caterina da Siena ne coniò una similare per ogni papa in genere, che quantunque oggi poco utilizzata è stata regolarmente adoperata almeno fino al pontificato di Pio XII: “dolce Cristo in terra”. Essendo tuttavia forse esagerato per un cristiano paragonare un papa a Cristo, si è recentemente tornati al più scontato uso del termine “pastore”, onnipresente nelle Sacre Scritture. Ma poiché Cristo è per eccellenza “il buon pastore” molti fedeli si astengono dall’usare la stessa dizione per il suo vicario, e preferiscono definirlo “dolce pastore”. Per verificarlo, basta leggere i blog cattolici dove si sprecano per Benedetto XVI questa ed altre definizioni adulatorie: “dolcissimo pescatore”, “dolce pastore fermo difensore della fede”, “umile pecora del gregge del Signore”, e così via.
Ma l’essenziale non è il termine, quanto piuttosto il ritratto che in definitiva si fornisce (o si vuole fornire) dell’attuale papa. Sin dall’inizio del suo pontificato si è posto l’accento sulla sua ‘mitezza’. Il giorno della sua elezione era apparso (o lo si considerò) impacciato, quasi insicuro, emotivo, semplice, empatico. Nei mesi a seguire i corifei del papato si sono distinti nel descrivere la sua passione per i gatti e per la musica, i suoi piccoli e grandi vezzi: le scarpette, il cappellino nuovo. Hanno sottolineatol’emergere in tutta la sua profondità di quel lato «spirituale», quell'«esprit de finesse» interiore di Ratzinger che era stato come sepolto dal «chiché dell'inquisitore» che gli era stato cucito addosso, ma che già emergeva nei libri, nei saggi e nelle conferenze del cardinale e del professore di teologia”, “ la sua profondità di sguardo”, “la semplicità del suo porsi in ascolto di tutti, da Oriana Fallaci ai lefebvriani, al teologo «ribelle» Hans Kung”.
Realtà o cliché mediatico, guidato da un’attenta regia? E quanto allora anche il precedente era un cliché mediatico piuttosto che una fotografia aderente al vero?
Il teologo Karl Gosler, suo stretto collaboratore per cinque anni, ha definito Benedetto XVI “riservato”, “umile”, “originale”, “sensibile”, “premuroso”, dotato di “grande comprensione verso i problemi che interessano da vicino la vita dell'uomo”, ad esempio quelli della famiglia.
I fedeli ovviamente vanno ancora più in là. E così sui blog a lui dedicati si possono leggere descrizioni mielose fino agli slogan più sfacciati: “con quanta grazia e misuratezza pronuncia quel «Krazie» con un fil di voce, timoroso, timido, e di una dolcezza disarmante”; “mi hanno molto colpita la mite dolcezza, il sorriso, la luce nello sguardo del Santo Padre, che sappiamo essere persona ferrea nelle Sue convinzioni, forte, colta e profonda”, “Papa dell'Amicizia e della Gioia, con il suo piglio delicatamente ma fermamente didattico”; “Papa, col viso dolce di un bambino e l'innocenza negli occhi”; “uno sguardo semplice, sorridente, gioviale”, “una timidezza che ci sorprenderà”.
Sembra tuttavia difficile credere che l’ex-prefetto dell’ex-Sacro Uffizio, il difensore tutto d’un pezzo della fede, l’instancabile persecutore del “relativismo etico”, possa essere, nel profondo, “dolce”. Ed appare strano che prima della sua elezione nessuno si preoccupasse di smentirne il ritratto di uomo lucido, razionale, inflessibile, dogmatico.
Come se avesse cambiato pelle. Secondo i suoi estimatori ciò dipenderebbe inevitabilmente dal mutamento di ruolo: da custode della ortodossia a pastore che contatta direttamente il popolo dei fedeli.
Ovviamente non mi trovo d’accordo su questa interpretazione. Ci sarà del vero nell’emergere del lato “buono” di Benedetto XVI, ma niente al momento può convincermi che il suo alter ego fosse un falso ritratto dipinto da chi non lo conosceva appieno.

Passiamo al raffronto che ho fatto fra Benedetto XVI ed il suo predecessore. Molti commenti al mio articolo hanno sostenuto banalmente che si sostiene sempre: il papa attuale è antipatico mentre quello che l’ha preceduto era buono. E’ proprio così? A me non pare. Giovanni Paolo II era più simpatico alle folle di Paolo VI; che lo era meno di Giovanni XXIII e più di Pio XII.
Giovanni Paolo II a mio avvivo suscitava sincera simpatia nei fedeli ed interesse nei non credenti; era fanatico, è vero, ma di un fanatismo genuino, che gli sgorgava spontaneamente dal cuore. Benedetto XVI appare invece calcolato, attento a non disperdere il patrimonio di consensi del suo predecessore. E la sua timidezza? A me sembra freddo e distaccato più che timido; e se anche fosse timido non lo è con quella emotività che solitamente domina i timidi.
Pio XII era pure lui distaccato, ma in diverso modo, per via delle sue pose ‘ieratiche’, che riflettevano una personalità istrionica, senza calore umano, tutta centrata su se stessa.

Dato per scontato che Giovanni Paolo II e Ratzinger (uomini “entrambi del medioevo”) erano affiatatissimi (e l’uno “il cane da guardia dell’altro”) la differenza fra i due era solo umana? Ovvero, mentre il primo sapeva essere simpatico, il secondo è un “personaggio patetico, chiaramente fuori ruolo, penoso, gaffeur, senza attributi”?
A mio avviso la differenza era anche nei contenuti del loro magistero, e prima ancora nei loro interessi. Giovanni Paolo II era un moralista, ed i moralisti guardano soprattutto all’uomo; Benedetto XVI è un teologo puro, ed i teologi vivono di carte scritte. Entrambi possono dire cose che a noi sembrano prive di senso, ma non mi sento di darne pari negativo giudizio. Anche considerando i “dietro le quinte” di Giovanni Paolo II, a mio avvivo qualcosa di positivo c’è nel suo apostolato; c’è qualcosa da ascoltare anche da parte di noi laici ed atei.
Certamente Giovanni Paolo II “ha saputo gestirsi meglio mediaticamente, come papa era un personaggio più televisivo”, ma non credo che sia nato come personaggio televisivo: a questo lo ha portato il suo impegno politico-religioso. Può fare simpatia, può fare antipatia: ma almeno nei primi anni di pontificato era assolutamente autentico, e l’autenticità è senza dubbio una caratteristica vincente, con un suo fascino. E poiché io mi sento sì ateo ma “non ideologico”, non riesco a dimenticare l’uomo quando esamino il pontefice. Ma non mi sembra con questo di “lodare Giovanni Paolo II”; cerco solo di capire l’uomo. Non dimentichiamo mai l’uomo che sta dietro una carica: non necessariamente un uomo da disprezzare quando diviene prigioniero del ruolo!
Tutto cambia, ovviamente, quando si guarda al potere ‘pratico’ del papa, al suo continuo attacco alla laicità ed alla democrazia. In tal senso entrambi i papi sono stati e sono per noi un costante ‘pericolo’.
Concordo sul fatto che a questo attuale papa “non si può non riconoscere l’abilità di rendersi antipatico a coloro che non lo adorano”. Ma proprio questa è a mio avviso la differenza; Giovanni Paolo II si poteva e si doveva contestare, ma non suscitava le stesse antipatie.

Per  finire, un commentatore mi ha criticato scrivendo: “Quando si vuole generalizzare si tende a semplificare troppo, lasciando spazio all’ideologia. Ci sono troppi ragionamenti banali: le critiche ai papi ottocenteschi erano seguite da insulti;le critiche moderne sono seguite da vittimismo”. Probabilmente egli non ha mai letto i documenti di Pio IX e Pio X, altrimenti saprebbe a cosa mi riferisco. In ogni caso, non seguo strategie: leggo quel che posso, ci ragiono su e poi ne traggo delle personali opinioni, senza nessun proposito di imporle agli altri.

Francesco D’Alpa

Pubblicato su: www.uaar.it (28 aprile 2009)